Lo scorso 23 settembre usciva una autoproduzione di cui in questi mesi si è parlato molto. Si tratta di Tracciato Palestina di Elena Mistrello, prodotta dal FOA Boccaccio 003 di Monza. Un racconto di viaggio fatto grazie alla West Climbing Bank, un gruppo di “arrampicator3 e attivist3 solidal3 con la Palestina che resiste” come si definiscono sul loro sito web, e grazie al supporto del Laylac Center di Betlemme. Un viaggio tra check point e territori spezzettati dall’apartheid israeliano. Il libro usciva due settimane prima dell’azione di Hamas del sette ottobre, violenta e mortale, che nasce da una lunga dolorosa storia di razzializzazione colonialista. Ognuno di noi ha più che presente i fumetti di Joe Sacco (Palestina e Gaza 1956, Mondadori), alla radice del giornalismo disegnato. Quindi, proprio mentre cresceva in Palestina il conflitto asimmetrico di sterminio della popolazione civile di Gaza, le presentazioni si sono alternate e moltiplicate, in breve le copie sono esaurite e proprio in questi giorni esce la ristampa (reperibile qui online o nelle librerie solidali) con un’integrazione di pagine che narrano quello che da qui, dall’altra parte del mare, l’autrice vede succedere, e il cui orrore sta negli occhi di ciascuno di noi. Ci siamo sentiti per questo numero di (Quasi) e ne abbiamo parlato.
Cosa è successo, Elena? Questo libro ha viaggiato velocissimo.
Elena Mistrello: Di Tracciato Palestina abbiamo fatto due presentazioni a settembre, una in Boccaccio a Monza e una in Piano Terra a Milano, dove c’era anche il fumettista palestinese Mohammad Sabaaneh (autore di Racconto Palestina, Mesogea). E appunto dopo due settimane è successo quello che è successo. E ovviamente avevamo tutta una serie di presentazioni già organizzate, perché ci sono un sacco di collettivi, spazi, associazioni che seguono la cosa. Dopo il 7 ottobre abbiamo avuto anche più richieste e indirizzate ad approfondire l’argomento soprattutto perché c’era interesse nel capire da testimonianze e da racconti quale fosse la situazione precedente in Palestina. Cosa che è proprio il focus del libro. E quindi sì ci siamo trovati in questo periodo molto intenso anche dal lato emotivo. Poi, grazie a Mohammad Sabaaneh, abbiamo cominciato a lavorare alla pubblicazione in arabo, e da lì è venuta l’esigenza di aggiungere delle tavole che affrontassero quello che stava succedendo, il genocidio in corso. Io non sento di poter parlare di robe che non vivo o non conosco e quindi ho scelto di raccontare quello che si vedeva da qui, l’uso delle immagini anche da parte dei media, che è stato una vera escalation di video e fotografie che documentano in diretta tutto quanto. Ma ho anche sentito l’esigenza di aggiungere in più un pezzettino che riguarda una parte che abbiamo vissuto in molti e molte: l’aspetto della solidarietà internazionale e delle manifestazioni pro Palestina e, grazie alla testimonianza di Laila Hassan dei Giovani Palestinesi, raccontare qualche accenno alla repressione che ne è derivata un po’ in tutta Europa.
Rispetto al libro è come se fosse una specie di controcampo.
EM: Sì, visto da qua, esatto: cosa vuol dire portare solidarietà da qua. Anche perché era l’unica cosa che potevo raccontare. Aggiungo che anche con questa edizione continua il benefit pro Palestina, assieme al sostegno per il collettivo Boccaccio 003 FOA. Un progetto da sostenere, ora che in tutta Italia gli spazi occupati stanno subendo una forte repressione.
Disegnare un fumetto sulla Palestina vuol dire anche fare i conti con le grandi graphic novel sulle questioni mediorientali, penso a Sacco e Zerocalcare (Kobane calling e No sleep till Shengal, Bao publishing).
EM: Parto da Joe Sacco, perché mi piace, ma non sono andata a rileggerlo proprio per capire alcune cose di come volevo farlo io. E l’altro riferimento è certo Zerocalcare. Ma Tracciato Palestina sta un po’ nel mezzo tra i due. Poi quello che mi interessava, e quello che mi aiutava di più a mettere giù il fumetto, è stato seguire l’esperienza che ho fatto, senza aggiungere o elaborare troppo. Ho voluto tenerla così com’è nella mia memoria. Avevo proprio voglia di raccontarla così, e penso non ci fosse troppo da aggiungere eloquente e forte come era.
È un racconto spezzettato nei territori, ma non ci si perde, anche se il percorso è emotivo.
EM: Vorrei risponderti raccontando un po’ la ragione per cui l’ho chiamato Tracciato Palestina. Perché in verità, non ho trovato complessità nell’andare lì. Certo alcune difficoltà tecniche che racconto come l’atterraggio a Tel Aviv e altre. Ma devi tener presente che c’era un progetto, West Climbing Bank, che andava lì da cinque anni, un gruppo di compagni e compagne che conoscevano bene la situazione, e il supporto dell’associazione Laylac, che è quella che ci ha proprio guidato in questo viaggio. Ed è per quello che si chiama tracciato, perché non è un percorso nuovo. Tante persone hanno già conosciuto quelle associazioni, quei luoghi, è come andare a ripercorrere un sentiero che già c’è, per andare a raccontare le cose da quel punto di vista, certo con le tue riflessioni, ma è già un tracciato, una cosa che esiste. Un percorso in cui tu segui qualcuno che l’ha tracciato per te. E tra l’altro tracciato è anche quello che fanno gli arrampicatori. Noi abbiamo seguito i palestinesi nei passaggi e nei check point che un po’ si percepiscono nel libro: per i palestinesi è la loro vita e quindi se fai il percorso con loro, vivi sulla pelle la loro vita di tutti i giorni.
I personaggi sono molto diretti e sinceri, sembra tutto scritto in diretta.
EM: La prima stesura che gli ho dato è stata di getto. Mi sono detta no, adesso non vai a leggere niente, intanto butti giù tutto, poi dopo ci pensiamo. Se anche avevo dei dubbi su alcuni pezzi, non mi ricordavo cosa era successo, lo buttavo giù per l’impressione che mi aveva dato senza guardare foto o altro. Nei momenti più calmi del viaggio prendevo degli appunti visivi. Solo dopo ho ripreso tutte le foto del gruppo dei compagni di viaggio e sono andata intanto a vedere con Nicolàs Garcia, che era con noi, gli appunti che lui aveva preso sul momento, e poi con Elio Catania. Elio è anche uno dei personaggi e gli ho proprio chiesto di aggiungere dei balloon o di rivedere insieme delle parti storiche, dove c’era proprio bisogno di spiegare una certa cosa, per far emergere un certo pezzo di storia. È vero che l’ho disegnato e scritto io, ma è stato fondamentale il confronto. Sia con loro due e poi anche con i palestinesi, perché noi l’abbiamo fatto in modo che loro potessero leggerlo e per lo meno decidere se essere d’accordo su come erano stati rappresentati. Perché comunque il filtro personale c’è sempre, è quello che metto io quando racconto. Però per noi era importante cercare di non andare a costruirci sopra alle parole che non erano le nostre. Quello che ci avevano detto era quello che andava scritto. Magari alle volte ci siamo chiesti: qui usano resilienza, sarebbe più bello resistenza, e no però hanno usato resilienza e quindi si usa quello. Il fatto di riportare quello che ci avevano detto era proprio il punto fondamentale perché davvero io quando sono tornata dal viaggio, parlando con le amiche e con gli amici, dicevo io vorrei che proprio tu avessi sentito quello che ho sentito io e poi mi sono detta, lo disegno allora.
È intenso ma è anche un pugno di giorni a cavallo tra la fine e l’inizio dell’anno.
EM: Sì sono una decina di giorni. È poco, anche quella è stata una delle motivazioni per farlo così. Mi sono chiesta se dividerlo per temi, però poi mi son detta, no, sto già a costruirci troppo. Alla fine è quello che che mi è rimasto impresso, giorno per giorno, luogo per luogo, va bene così.
E come è stato dopo? Raccontare il libro, una situazione presente ma anche distante dove, ora come non mai, ci sembra di non poter fare abbastanza.
EM: Sono le riflessioni che vengono fuori nelle ultime tavole, il grosso sentimento di impotenza schiacciante che si ha, che abbiamo avuto tutti, che abbiamo ancora adesso di fronte alle notizie che riceviamo. Però ho cercato in qualche maniera di affrontarlo, un po’ anche raccontando del movimento di solidarietà, dei giovani palestinesi e tutto quanto. In parte è un po’ anche quello che si aspettano da noi, che ti abitui alla sofferenza altrui e che senti che tanto tutto è inutile. Invece dire no, certo che un fumetto benefit non fa la differenza, un’asta benefit non fa la differenza, però intanto qualcosa fa, magari solo per qualcuno o per un tot di persone o per una persona sola ma lascia dei messaggi. Poi quando abbiamo fatto il tour di presentazioni in tutta Italia è stato importante essere insieme ad altre persone e non affrontare le notizie da soli. E per me il mettermi in discussione non è finito col viaggio ma continua anche adesso. E continuo a interrogarmi su quello che vedo, soprattutto ascoltando la voce dei palestinesi e delle palestinesi. Credo che ancora abbiamo un bagaglio coloniale di cui disfarci, ci sono delle cose che vanno riviste, messe in discussione, cambiate. Quindi fare questo percorso qui è continuare a informarsi, ed è importante, è veramente importante, farlo insieme, condividere.