Tutti parlano di X-Men ’97, il nuovo cartone animato di Disney+ che continua, come niente fosse, le avventure dei cartoni animati degli X-Men degli anni ’90. Però sapete come funziona, no? Classe 1976, quando usciva il cartone animato degli X-Men avevo 16 anni e mi ritenevo già fuori target. Finita l’euforia di Ken il guerriero (eh, il mondo della mia provincia al tempo si divideva in chi guardava Ken e chi I Cavalieri dello Zodiaco, io guardavo Ken e I Cavalieri me li sto leggendo ora per la prima volta nella Perfect Edition Star Comics), gli X-Men al tempo mi bullavo di leggerli in inglese. È stato un buon periodo: a cavallo di Jim Lee, delle serie mutanti con scarsa lungimiranza seguivo “Uncanny X-Men”, “Excalibur” e “Wolverine”. Scarsa lungimiranza perché alla fine le storie degli X-Men si legavano a doppio filo con quelle di “X-Factor” e “New Mutants”, per cui come al solito avevo puntato sui cavalli sbagliati. Mi piaceva Excalibur (anche se francamente in quel periodo non se la cavava proprio benissimo) e mi piaceva il Wolverine di Larry Hama, solo che degli sviluppi delle trame degli X-Men rischiavo a volte di non capirci un cavolo, per quanto la trama principale si divideva tra le diverse serie che non acquistavo.
Da X-Fan (dei fumetti) della prima ora ci ho anche provato a vedere il primo episodio di X-Men ’97, vedere Jubilee ballare con i suoi effetti di luce mi è sembrata una scena di animazione fluida e bellissima, mi ha affascinato.
Ma i cartoni animati degli X-Men continuano a non essere my cup of coffee.
A differenza dei fumetti.
La mia esistenza è costellata di letture di lungo corso. Cose che leggo ogni tanto, anche massivamente quando capita il loro turno, ma che so che mi faranno compagnia per anni. Alcuni esempi? Terry e i pirati di Milton Caniff (sono al secondo volumone dell’integrale di Cosmo); Rip Kirby di Alex Raymond (un po’ più indietro, anche se ogni volta che ne apro una pagina rimango sbigottito e senza fiato); Popeye di Segar (sono sempre più indietro di quanto vorrei); Legione dei Supereroi di Levitz e Giffen (ahia, sarò al volume 5 di 17, la vedo ancora lunga); Justice League di Giffen/De Matteis (quinto volume di nove), Rocky Joe (volume 3 di 13) e davvero tanti, tanti altri.
Quando ho cominciato a comprare “Uncanny X-Men” in inglese, da giovane cosmopolita quale volevo essere, ho interrotto l’acquisto della serie italiana, creandomi un buco di storie che non ho mai colmato. E che ammetto, non ho mai neanche troppo inseguito: adoratore degli X-Men di Claremont e prima Cockrum e poi Byrne, con l’episodio “Elegia” successivo alla morte di Jean Grey per me la questione “X-men che amavo” era un po’ chiusa. Certo, mi sono entusiasmato con “Giorni di un futuro passato”, ho seguito poi con il ritorno di Cockrum (a me rimane impresso ancora l’incontro di Ciclope con il mio amato Man-Thing e il demone D’spayre nelle paludi della Louisiana) e la breve quanto affascinante parentesi di Paul Smith ma, oh, lo ammetto, Silvestri e John Romita Jr sugli X-Men, al tempo, non riuscivo a sopportarli. Silvestri poi mi sembrava uno diverso proprio, ce lo avete presente il suo Wolverine? Che ci azzeccava con quel segno esile sugli X-Men? E John Romita Jr? Per me la sua misura perfetta è sempre stata quella di Starbrand e di Daredevil, e da allora – PER ME – non ha mai più ritrovato un suo equilibrio, cominciando quasi a fare la caricatura di sé stesso. Per recuperare quanto ho perso (davvero poco poi, a ben vedere) mi viene in soccorso negli ultimi anni Panini Comics con la ristampa in formato bonellide degli X-Men di Claremont nella collana “Integrale – Gli Incredibili X-Men”, che sto leggendo con gusto, con i miei tempi.
Ergo con tutto questo parlare di X-Men, sarà qualche mese che non procedevo, ho impugnato il numero 44 (in edicola ho appena acquistato il 63) dove ero arrivato nella precedente sessione di lettura. A differenza della normale composizione di ogni numero (quattro numeri della serie ammiraglia “Uncanny X-Men” e via), questo ne presenta tre: due numeri di “Uncanny” e un annual de… I Nuovi Mutanti? Come mai? Leggo dai contenuti redazionali che in quest’annual appaiono per la prima volta nella continuity statunitense due personaggi piombati direttamente dalle pagine delle riviste di Marvel UK: Captain Britain e sua sorella, Psylocke.
Leggo i due numeri di “Uncanny” (al di là del bene e del male: due buoni episodi della telenovela infinita degli X-Men – la mia idiosincrasia per quel segno di John Romita si è un po’ sopita nel tempo e il colpo di scena finale tra Rachel e Wolverine me lo ricordavo dai tempi che furono) e all’annual mi fermo. L’occasione è stuzzicante: potrei andare a riscovare nel profondo della libreria i due X-Men Archives che comprendono il Captain Britain scritto prima da David Thorpe e poi da Alan Moore, e poi il poderoso Play Book edito da Play Press con tutto il Captain Britain di Jamie Delano, in modo da ricollegarmi senza traumi all’annual in questione.
Lo faccio.
Intanto: la prima volta che ho incrociato nella vita il Captain Britain di Alan Moore fu per un equivoco. Non ricordo oggettivamente neanche dove fossi, ma acquistai un numero della rivista Marvel UK “Daredevils”, probabilmente, mi dico oggi, mosso dalla promessa di una storia che non avevo del Devil di Miller (che infatti c’era, in formato grande e in bianco e nero, che bellezza, l’episodio con Bullseye e la Vedova Nera al parco giochi, scritto da Roger McKenzie), e che conteneva in appendice uno degli episodi di Moore. Inutile dire che non potevo capirci niente, non conoscevo nessuno.
Ora, capiamoci: i fumetti Marvel UK differivano di molto da quelli della casa madre americana. Prevalentemente in bianco e nero e, soprattutto, brevissimi. Il ciclo di David Thorpe è composto da episodi di 5, dico 5 pagine, prima che venisse sbattuto fuori. Man mano la serie acquisisce popolarità (diventando nomade tra più pubblicazioni) e le verrà concesso di volta in volta più spazio, ma un episodio non raggiungerà mai foliazioni superiori alle 11 pagine. E in quel pugno di pagine ragazz*, ogni volta, succede di tutto. Thorpe rimarrà alla serie per una manciata di episodi prima di essere sostituito da un giovane Alan Moore ancora lontano dai suoi successi. Lo tolgono perché “troppo politico”, dicono, passando letteralmente dalla padella alla brace. Infatti tutti i temi di Thorpe vengono ripresi e ampliati da Moore, che in davvero un pugno di pagine ci anticipa in un colpo solo Civil War, The Boys, e gli stessi V per Vendetta e Watchmen, coltivando pian piano i semi di quello che solo poco tempo dopo sarà il suo Miracleman (che tra l’altro vediamo come ospite in qualche vignetta in questo ciclo). Con nonchalance mette ordine nel multiverso Marvel dando un numero a ogni mondo e crea un sacco di personaggi i cui diritti rimarranno a Marvel per sempre.
Ogni episodio è letteralmente pieno di idee, solo poche delle quali saranno poi riprese da Claremont in Excalibur. Ma leggerle pensando di essere in Gran Bretagna negli anni Ottanta… Neil Gaiman e ancora di più Grant Morrison si sono probabilmente formati su queste storie (senza contare l’importanza per tutti del fondamentale Luther Arkwright di Bryan Talbot): io non riesco a non vedere un grosso cordone ombelicale che parte da Captain Britain e arriva a quel gioiellino di Doom Patrol di Morrison, se li avete letti entrambi mi farete sapere. Poi arriva Delano che se possibile riesce ancor di più a incupire le cose. Sviluppa il personaggio di Megan che diventa pronto per sbarcare sulle lande statunitensi insieme al suo Brian (Brian Braddock è l’identità segreta di Captain Britain), dà vigore alla personalità del commissario Dai Thomas, collega silenziosamente le trame a quelle degli X-Men (compaiono tra gli altri indizi Il Club Infernale e l’agente governativo USA Henry Peter Gyrich) e… acceca Psylocke!
Sono, pare, pronto a leggere l’annual de I Nuovi Mutanti su “X-Men integrale”, che tra le altre cose introduce nella continuity anche un’altra coppia di personaggi che darà molto da fare ai ragazz* X: Mojo e Spirale. Ve li ricordate? Ed ecco che mi scopro non ancora pronto. Ed eccomi, a scartabellare in un altro angolo oscuro della mia libreria, in seconda fila, e tirare fuori i primi sette “X-Marvel” Play Press e “prepararmi” all’agognato annual rileggendomi a decine di anni di distanza la miniserie di Longshot, di Ann Nocenti e Arthur Adams.
Il segno di Arthur Adams è il contrario di quello di Alan Davis, l’illustratore di Captain Britain. Dove Captain Britain è un ottimo punto di osservazione per vedere la maturazione di Davis negli anni, Longshot è invece l’esempio dell’inesperienza di Adams al suo esordio. Da un lato la propensione verso una linea chiara e morbida in una progressione retta che va dal primo episodio di Captain Britain scritto da Thorpe all’annual de I Nuovi Mutanti, dall’altro un accanimento di segni e tratteggi vignetta per vignetta perdendo a volte di vista la leggibilità (ehi! poi Adams si riprende e come, da questa prima esperienza). Mojo l’ho sempre trovato un personaggio divertente che non poteva essere partorito altro che dalla mente di Ann Nocenti. Nei suoi fumetti mi sono spesso trovato a girare una pagina e chiedermi “ma davvero?”. Col tempo questo suo andare “sopra le righe” capisci che è una cifra stilistica e impari a fartela piacere. Parliamo letteralmente di un Berlusconi invertebrato di un altro universo, in cui comanda con sadismo il suo allucinato regno televisivo, una sorta di Apokolips e Darkseid del tubo catodico. Longshot è un fuggitivo e suppongo non fosse ancora previsto, mentre la mini-serie a suo nome prendeva forma, che di lì a poco visto il successo sarebbe stato anche lui integrato nel cast degli X-Men. Finalmente pronto, ho letto l’annual de I Nuovi Mutanti: ben arrivati Psylocke e Captain Britain nella continuity USA, ben arrivato Alan Davis che suppongo per te fosse un sogno da realizzare e, tranquillo, lo hai fatto benissimo. Mi sono ricordato le dinamiche tra I Nuovi Mutanti, Doug, Warlock etc… e quasi quasi mi parte un altro ramo di letture di lungo corso (ma su X-Marvel c’è anche X-Factor di Louise Simonson… mmm).
Insomma, sono soddisfatto, alla fine? Lo ammetto, non credo che l’annual de I Nuovi Mutanti rientrerà mai tra le mie letture preferite (mentre Captain Britain non facevo affatto male a ricordarlo con affetto), ma ragazz*… che viaggio!