Mettiamo a confronto queste due micro sequenze. Entrambe usano il medesimo stratagemma per dare il senso dello spostamento: Ware tiene l’inquadratura fissa e fa vedere le automobili in due spazi diversi (e quindi in due tempi diversi); ma è evidente che la prima macchina (p. 19) è in accelerazione, la seconda (p. 20) in rallentamento. Questo effetto di velocità ci viene dato, come è ovvio, dalla scelta dell’inquadratura delle automobili:
- nella sequenza in alto vediamo prima il veicolo a metà e poi il fanalino di coda, segno che la macchina ha accelerato ed è scomparsa alla vista; nella seconda sequenza vediamo (anche qui), per prima cosa, il veicolo inquadrato per metà, ma poi, nella seconda vignetta, lo vediamo per intero;
- nella prima sequenza l’automobile, che è in primo piano, entra dalla quinta destra ed esce da quella sinistra, con un effetto come di contrazione (non vediamo i finestrini posteriori, o il lunotto, non vediamo cioè la parte centrale della macchina): potremmo dire che la distanza percorsa da questa automobile è tutta nello spazio bianco tra le vignette, o almeno questa è la percezione del lettore; nella seconda sequenza la macchina – inquadrata invece da più lontano – entra dalla quinta sinistra e si posiziona poi al centro della vignetta: se uscisse di scena lo farebbe dalla quinta destra della seconda vignetta, e avrebbe, quindi, a differenza dell’altra macchina, più spazio da percorrere.
Certo, questo effetto non funzionerebbe senza una costante fondamentale: il lettore dà per scontato che tra una vignetta e l’altra passi più o meno, se non esattamente, la stessa quantità di tempo. A parità di tempo, dunque, vedere le macchine in posizioni diverse ne definisce la velocità.
Ma c’è anche un’ultima questione in gioco, ed è il controllo, da parte di Ware, dello sguardo del lettore, o meglio, del suo ordine di lettura: leggendo da sinistra a destra nella prima sequenza, dopo aver visto passare la macchina, il lettore ferma lo sguardo su Rusty e Woody, basiti (cit.) dopo l’incidente sfiorato; nella seconda sequenza lo sguardo segue il movimento dell’automobile, ma poi si focalizza sull’automobile stessa. In qualche modo potremmo dire che è lo stesso sguardo del lettore che fa fermare la macchina (e non viceversa!).
Dunque
Dunque siamo passati attraverso le fantasie di Woody, i suoi pensieri, la sua depressione. In cinque pagine ci siamo fatti un’idea abbastanza precisa del suo carattere. Qui, a pagina 20, vediamo anche che non ha molta dimestichezza con suo figlio, o meglio, che i due non hanno alcuna complicità, tanto che Woody, per dire a Rusty di non raccontare alla madre quello che è appena successo, cerca la sua confidenza chiamandolo “bomber”. Al che Rusty pensa solo «“Bomber”?», sottolineando l’inautenticità di Woody da un lato, e dall’altro segnalando al lettore che stiamo cambiando focalizzazione: da adesso Ware seguirà di nuovo Rusty per qualche pagina.
Per una geografia delle vignette
Woody parcheggia la macchina davanti all’ingresso della scuola; vediamo molto bene le porte: sono le stesse da cui entrerà Rusty.
Per farci vedere che Rusty si dirige all’ingresso della scuola, Ware privilegia non il realismo pedante degli spazi fisici, ma la geografia delle vignette: Rusty, sceso dalla macchina, non va nella direzione giusta (che sarebbe verso sinistra: vedi, nella vignetta sotto, la posizione delle scale), ma segue un percorso in diagonale verso l’alto e a destra, e cioè la direzione che lo porterà alla prima vignetta della pagina successiva.
Tra le altre cose, ha pubblicato “Un diario pressappoco” (con lo pseudonimo brèkane, RGB, 2007), e, insieme con Alberto Talami, i volumi a fumetti “Quasi quasi mi sbattezzo” (Beccogiallo, 2009), Morte ai cavalli di Bladder Town (Autoproduzione, 2010, premio Nuove Strade al Comicon di Napoli, 2011), “Il futuro è un morbo oscuro, dottor Zurich!” (BeccoGiallo, 2018, premio Miglior Sceneggiatura al Comicon di Napoli, 2019) e Jungle Justice (Coconino Press, 2022).