Che te ne pare del mio Texone?

Paolo Interdonato | post-it |

Pare che Magnus, lavorando al suo Texone, abbia ingaggiato il fido Giovanni Romanini perché lo aiutasse a disegnare tutti quei cavalli. I cavalli sono bestie complesse: prova a cercare su YouTube un tutorial che ti spieghi come disegnarli, segui alla lettera le indicazioni, libera l’artista che è in te e, alla fine, nella migliore delle ipotesi, avrai ottenuto un cagnone che ti giudica e ti reputa un suo simile… almeno come disegnatore.
Romanini, in quella stanza sull’appennino sopra Imola, a Castel del Rio, si riempie di Magnus e disegna cavalli meravigliosi.

Il western ha regole feroci. La prima è che la gente, per muovercisi, usa stalloni bellissimi, muscolosi, intrepidi. Quando Tex spara, il suo cavallo scarta di lato e si innervosisce, ma mica si imbizzarrisce. Che figura ci farebbe un ranger di mezza età con il coccige fratturato?
Un cavallo è vita e movimento. Disegnare un’auto – chessò, una jaguar nera – richiede meno dedizione.

È questo il motivo per cui disegnare Tex è un’impresa improba. Innanzi tutto, devi disegnare le avventure – scritte mediamente male – di un tipo di cui, se sei ancora vivo e contemporaneo di te stesso, non te ne può fregare niente. Poi, devi necessariamente essere un grande disegnatore.

Siamo arrivati al quarantesimo numero dell’albo speciale di Tex, il Texone. E su quelle pagine abbiamo visto disegnatori sublimi, a partire da Guido Buzzelli. Dopo quell’esordio incredibile, sono seguiti  Alberto Giolitti, Aurelio Galleppini, Sergio Zaniboni, Victor De La Fuente, José Ortiz, Giovanni Ticci, Aldo Capitanio, Magnus, Jordi Bernet, Goran Parlov, Alfonso Font, Ivo Milazzo, Colin Wilson, Joe Kubert, Bruno Brindisi, Manfred Sommer, Roberto De Angelis, Carlo Ambrosini, Giancarlo Alessandrini, Corrado Mastantuono, Luigi Filippucci, Pasquale Frisenda, Orestes Suárez, Carlos Gomez, Ernesto Garcia Seijas, Fabio Civitelli, Andrea Venturi, Corrado Roi, Massimo Rotundo, Enrique Breccia, Stefano Andreucci, Majo, Laura Zuccheri, Claudio Villa, Massimo Carnevale, Giampiero Casertano, Giovanni Freghieri, Maurizio Dotti.

Hai letto quella lista di nomi? Non esiste un premio in Europa capace di indicare con una precisione così grande un disegnatore l’anno da guardare con estrema attenzione. «Angoulême, spicciame casa!»

Poi è chiaro, mica tutti i disegnatori hanno dato il meglio di sé. Qualcuno ha fatto il suo lavoretto, qualcun altro si è stancato dopo le prime cento pagine, qualcun altro ancora si è ricordato di essere un professionista e si è messo di buzzo buono a portare a termine il compito.

Quest’anno è stato il turno di Giuseppe Palumbo. Se lo meritava proprio. È un grande disegnatore, macina centinaia di pagine l’anno, spazia dai progetti personali al fumetto seriale affrontato con la più grande serietà.

Sul Texone ha fatto un lavoro pessimo. Primi piani a pioggia e vista sempre frontale e teatrale di tutto quello che succede, anche nell’alternanza di campi. Sullo sfondo compaiono spesso le stesse linee parallele che si assottigliano che usa per le astronavi e gli interni della jaguar di Diabolik. I personaggi indossano cappelli di legno. E guarda quei cavalli: in mancanza di un Romanini, ha disegnato dei cagnoni metallizzati con cromature. A Clerville c’è un’ottima carrozzeria che ti tira a lucido il cavallo spendendo due spicci.

Lo capisco, Palumbo. Quello è un albo prestigioso e paga bene. Bisogna farlo anche se Tex è noioso come la via crucis e il western non è proprio nelle tue corde. Ti confesso che, se me lo chiedessero, lo disegnerei pure io. (Va beh! Non so disegnare. Ma che c’entra? Lo faccio per il prestigio!) In giro ho visto una distesa di appassionati, critici, studiosi e addetti ai lavori che si sono fotografati con la loro copia intonsa di quel volumaccio, dichiarando l’amore incondizionato per il genio del maestro.
Ci sta. Giuseppe Palumbo è bravissimo. Ma, cazzo!, sfogliateli ‘sti fumetti. Apriteli e dateci un’occhiata. Poi, se è così evidente che il vostro maestro non ci aveva voglia e lo ha disegnato la settimana prima della consegna col rullo (e magari avvalendosi di uno stuolo di assistenti), si può anche far finta di niente. Il silenzio è un ottimo rifugio per l’innocenza. Sono certo che Giuseppe Palumbo non si avvicinerà a nessuno in cerca di conferme usando quel lavoro. Non chiederà a nessuno, con sguardo carico di languida tenerezza, «Che te ne pare del mio Texone?»

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