Facebook è insopportabile. Hai presente quando una relazione si protrae per troppo tempo e le persone coinvolte ormai stanno insieme più per comodità e abitudine che per altro? Si tollerano poco, le cose che rendevano esaltante quella relazione ormai capitano solo occasionalmente e quasi sempre meccanicamente. Non parlo solo del sesso (ché mica deve esserci in tutte le relazioni), ma se le persone lo vivevano con diletto, accidenti!, sicuro che anche quello se n’è andato. A quel punto, ci si sopporta poco, si minimizzano le superfici d’attrito e si continua a vivere come se tutto fosse nella norma. Poi, con frequenza sempre maggiore, tornano i ricordi. Nelle relazioni non ci si dimentica niente. Neanche di quella volta della fiancata dell’auto, di quella del gatto perduto o delle piante che sono state innaffiate troppo o troppo poco. E poi tubetti schiacciati male, docce non pulite dopo l’uso, biancheria mollata in posti impropri, disordini intollerabili… Che rabbia!
Nelle relazioni, quando durano troppo, non ci si dimentica niente. Non ci si perdona niente.
Facebook è proprio così. Continuiamo a usarlo solo noi alle soglie della terza età. Lo facciamo da troppo tempo. Quella piattaforma, quest’anno, ha festeggiato vent’anni d’età e noi, felici di provare l’ebbrezza della novità, abbiamo iniziato a usarlo presto.
Ora è lì. Apriamo quella timeline tutte le mattine, solo per abitudine, e lui, annoiato dalla vita piena di zanzare, si ricorda tutto e ce lo rinfaccia.
«L’anno scorso facevi questo; tre anni fa, quest’altro; sette, quest’altro ancora; quindici…»
TI rinfaccia tutto e non ti perdona niente.
E tu pensi «Ma perché ho detto questa cazzata?» oppure «A che serviva tutta questa voglia di litigare?» o ancora «Ma che stronzo!».
Mi rendo conto che Facebook è il convivente con cui sto per avere la relazione stabile più duratura della mia vita. Ed è uno stronzo! Ha almeno una colpa dal passato da ricordarmi tutti i giorni. TAC! TAC! TAC! Come la goccia quando scava la pietra. Non si limita a levigare le asperità della roccia, o ci scava un buco o ci incolonna una stalagmite.
Ora, tutta questa mia dichiarazione di infelicità in una relazione claustrofobica e tossica come quella con Facebook serve solo a segnalare un fatto minore. Mi sono accorto che questa cosa dello squatting di un lugo virtuale destinato ad altro la faccio da anni. Da decenni, anzi. Tra i dodici e i quindici anni fa, aprivo dei blog occasionali, destinati a vivere una sola estate, e ci buttavo sopra le cose che trovavo in giro e mi piacevano.
Con un’arguzia delle mia, una di quelle che – quando non ti guardo – ti fanno levare gli occhi al cielo e sbuffare, chiamavo quegli spazi – disordinati, senza categorie e privi di struttura – “Anarchivio”.
Quel nome mi piace ancora. Se l’editore e webmaster di (Quasi) me lo permette, (QuasiQuasi) a settembre – quando questo posto ritorna la solita rivista più bella del mondo – ci faccio una rubrica. Devo solo decidere cosa metterci dentro.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).