Capitolo secondo – La diva e lo spillone
Capitolo secondo di dodici. Dove ti racconto di cose che, apparentemente, non c’entrano nulla con la storia principale, ma, appunto, solo apparentemente. Perché in quello che ti racconto, nulla accade per caso e tutto si tiene.
“Őszirózsás forradalom” è un’espressione magiara che in italiano possiamo tradurre come “Rivoluzione dei crisantemi”. È il nome con cui gli ungheresi chiamano l’incruenta insurrezione di Budapest che tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1918 portò alla dichiarazione d’indipendenza dell’Ungheria e al crollo dell’Impero Austroungarico.
Il 12 novembre dello stesso anno, in seguito alla rinuncia al potere di Carlo I, l’ultimo imperatore asburgico, l’Austria diventa una repubblica. Le elezioni politiche vengono tenute nel maggio 1919 e saranno vinte, con maggioranza assoluta, dai socialdemocratici. Nonostante una serie di significative riforme sociali (per dirtene alcune: la giornata lavorativa di otto ore, il sussidio di disoccupazione, il riconoscimento legale delle rappresentanze sindacali) il governo nazionale a guida socialdemocratica esaurirà la sua esperienza già nel 1920. I socialisti continueranno però ad amministrare Vienna, fino all’Anschluss.
Sotto la guida di sindaci illuminati come Jakob Reuman e Karl Seitz, Vienna resterà un faro cosmopolita di progresso sociale, fermento culturale e prosperità economica all’interno di un paese arretrato, immiserito e sempre più nazionalista.
Negli anni Venti, proprio grazie a questa ricchezza culturale, Vienna si contenderà con Berlino il titolo di capitale della cinematografia europea. Il quartiere di Brigittenau, ventesimo distretto della città, con i suoi grandiosi studi cinematografici della Sascha-Filmfabrik e della Wien-Film, era considerato la Holliwood austriaca.
Nel 1930 Hedwig Kiesler ha sedici anni. È la figlia di Emil Kiesler, il direttore della Wiener Bankveiner (la più importante Banca dell’Impero Asburgico e successivamente alla guerra, una delle prime della Repubblica Austriaca) e di Gerturd Lichtwiz famosa pianista ungherese. Vive con i suoi genitori in una lussuosa residenza nel vicino distretto di Döbling. Tutti i giorni, per andare a scuola, passa davanti agli studi della Sascha-Film.
Hedwig è una studentessa molto dotata, ha una spiccata passione per la tecnologia e i suoi insegnanti (una delle sue professoresse è Anna Freud figlia di Sigmund) hanno consigliato ai genitori di iscriverla alla Technische Hochschule, il Politecnico di Vienna, fondato nel 1815 da Francesco II d’Asburgo-Lorena e che negli anni Settanta del secolo scorso diventerà quella che è a tutt’oggi la Technische Universität. La ragazza ha un’altra passione che le brucia le viscere: la recitazione.
Frequenta un corso di recitazione diretto da Ernst Arndt e ogni volta si ferma davanti agli ingressi di quella fabbrica di storie di cellulosa, meravigliose e inquietanti, come Sodom und Gomorrha di Mihaily Kertész (che, appena arriverà a Hollywood- quella vera – si firmerà Michael Curtiz) o Café Elektric diretto da Gustav Ucickly e interpretato da Marlene Dietrich, alle quali vorrebbe partecipare.
Un giorno decide che deve andare a vedere come funzionano quegli studi dove si costruiscono le storie che ama. Ha un permesso di entrata in ritardo a scuola di un’ora, per una qualche radiografia, (dal 1921 per chi se le può permettere le schermografie sono quasi una moda, nell’ovvia inconsapevolezza dei danni causati dai raggi X: pensa che nei negozi di scarpe c’erano apparecchi, i pedoscopi, che radiografavano il piede per valutare la comodità delle scarpe). Senza il minimo scrupolo falsifica il permesso di un’ora vergato da sua madre, trasformandolo in una giustifica per tutta la giornata, e si infila dentro gli studi della Sascha-Film. Lei vuole recitare ma cercano una segretaria di edizione per il film Geldauf der Strasse.
Affascinato dalla sua intelligenza e, non è possibile negarlo, dalla sua bellezza (Hedwig è davvero bellissima) il produttore Nicholas Deutsch la assume. Il regista, Georg Jacoby le fa fare anche la comparsa, nel ruolo di una ragazza di un night club. È l’inizio di una carriera che vedrà il suo coronamento nel 1937 quando Hedwig – fuggita da un matrimonio infelice con un fabbricante di munizioni, paradossalmente ebreo e nazista (su Fritz Mandl non esistono – purtroppo – biografie in italiano), prima a Parigi e Londra dove seguì il suo amante Erich Maria Remarque (che la lasciò dopo aver conosciuto, guarda il caso, Marlene Dietrich) e poi negli USA – firmerà un contratto per la MGM con lo pseudonimo di Hedy Lamarr.
Vorrei raccontarti della carriera hollywoodiana di Hedy Lamarr e del suo impegno antinazista come ingegnere (non so se si può dire ingegnera, se si può lo dico) a favore delle forze alleate (sappi solo che la tecnologia del wi-fi – il brevetto 2.292.387 del 1942 – che usi con noncuranza la devi a lei), ma per quanto ami le digressioni, il racconto ci porterebbe troppo lontano dall’oggetto di questo saggio, quindi per arrivare dove dobbiamo arrivare senza perdere altro tempo, te la faccio breve.
Mi concedo solo un divertente inciso: in quello stesso 1942 in cui brevetta il wi-fi, Hedy perde – senza saperlo – un’occasione incredibile. La Warner Bros la vorrebbe nel ruolo di Isa Lundt a fianco di Humprey Bogart nel film Casablanca diretto, pensa un po’, da Micahel Curtiz, ma la MGM non lo ritiene un ruolo alla sua altezza e non concede il benestare perché lei possa recitare in una produzione concorrente. Il ruolo, come ben sai, verrà affidato all’algida Ingrid Bergman.
Torniamo a noi.
In seguito alle sue prime timide partecipazioni cinematografiche Hedwig viene notata da Max Reinhardt che la porta con sé a Berlino per una tournee teatrale. Da qui il balzo e un ruolo, certo secondario ma di tutto rispetto, in una commedia di grande successo diretta nel 1931 da Carl Boese: Man braucht kein Geld.
Nel luglio dell’anno dopo, il regista cecoslovacco Gustav Machatý, a seguito dei rifiuti (per via delle scene di nudo previste dal copione) di due dive come Lupita Tovar e Adina Mandileva, le propone la parte diEva Hermann, protagonista di Extase. Giovane ed entusiasta Hedwig accetta.
Grazie alla sua interpretazione e alla sequenza in cui nuota nuda nel lago (scena che passerà alla storia come prima sequenza di nudo del cinema per il grande pubblico) il film si rivelò uno strepitoso successo. Nella sua (tra l’altro bellissima e purtroppo non tradotta in italiano) autobiografia, Ecstasy and Me, uscita nel 1966 e scritta con Leo Guild, Hedy Lamar racconta che fu obbligata a girare la scena di nudo perché ingannata due volte, la prima in fase contrattuale – sostiene non le sia stato fatto presente che il contratto prevedeva quella scena –, la seconda quando Machatý, costringendola a girare la scena con il ricatto, le promise però che sarebbe stato tutto ripreso da lontano e sfocato: in realtà venne usato un teleobiettivo e le riprese furono nitidissime. Racconta anche che per ottenere le sue espressioni estatiche durante le scene di amplesso, il regista la torturava sulle natiche con uno spillone.
«Aribert si mise sopra di me e ricominciammo la scena. Poi lui si spostò da un lato, fuori inquadratura. Da sotto, dietro di me e anche lui fuori inquadratura, il regista mi ha conficcato a fondo nelle natiche quello spillone…. Ricordo che intanto la cinepresa stringeva sul mio volto in primo piano, catturando la mia espressione di vero dolore… e ricordo il regista che urlava contento “Ecco, così!”»
Non so tu, ma io non ho difficoltà a crederle, perché che Machatý fosse uno stronzo lo sosteneva anche la troupe con la quale, nel 1936, girò negli stabilimenti cinematografici Pisorno di Tirrenia, frazione di Pisa (Cinecittà sarà inaugurata solo nell’aprile del 1937) il dimenticabile e dimenticato: Ballerine.
A volerlo come regista di quello che sulla carta era un progetto ambiziosissimo fu Luigi Freddi, il fascistissimo responsabile della cinematografia italiana a cui si deve la fondazione del Centro Sperimentale di Cinematografia, l’ideazione della rivista “Bianco e Nero” e la costruzione di Cinecittà. Il regista ceco era decisamente famoso, grazie al successo di Estasi (il film si aggiudicò il premio per la miglior regia al Festival di Arte Cinematografica di Venezia nel 1934, ma – paradossalmente – in Italia non venne mai distribuito per il veto censorio del Vaticano) e sembrava il nome giusto per dare al film rilievo internazionale. Chi lavorò con lui alla realizzazione del film, lo dipinse però come un isterico umorale, irrispettoso dei suoi collaboratori, sempre in ritardo e tirannico con gli attori (alle attrici non risparmiava soprusi, angherie e violenze sia fisiche che psicologiche). Si considerava un genio: tutto e tutti dovevano soggiacere al suo estro creativo. Poteva restare immobile, al buio sul set a pensare e la troupe doveva restare immobile e in silenzio, finché non decideva di riprendere la lavorazione.
Se hai anche solo la curiosità di andarti a vedere qualcuno dei suoi “capolavori”, da Erotikon a Madame X passando per Estasi, ti renderai conto di come tutta quell’autostima fosse poi abbastanza infondata.
Tra gli attrezzisti della troupe che lavorava a Ballerine, c’è un ventunenne al quale hanno affidato il compito di ciacchista. Anche a lui la passione del cinema brucia le viscere. Ma il suo interesse non è rivolto alla recitazione. Ciò che lo affascina è la costruzione del film, e soprattutto il ruolo demiurgico del regista. In quei due mesi di riprese resta completamente affascinato dalla figura di Machatý e vorrebbe essere al suo posto.
Poi quando vedrà il film in sala, davanti alla sua completa pochezza, si ricrederà. Non sul fatto che vuole fare il regista, ma sul ruolo che il regista ha all’interno della realizzazione del film.
Però adesso perdonami, sto precorrendo i tempi. Quel ragazzo si chiama Mario Monicelli e si trova a lavorare sul set di Ballerine con suo cugino Alberto Mondadori.
A questo punto è decisamente opportuno che ti racconti come e perché erano finiti a lavorare su quel set.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.