Come tutti i suoi predecessori, a partire da Franklin Delano Roosvelt, anche Donald Trump è diventato ufficialmente il 45° presidente degli Stati Uniti d’America solo dopo l’Inauguration Day, che si è tenuto, come stabilisce il 20° emendamento (promulgato nel marzo del 1932), a mezzogiorno del 20 gennaio 2017.
Garth Ennis e Darick Robertson concludono la saga a fumetti (violenta, scoreggiona e irriverente) The Boys nel 2010, quando è iniziata da appena un anno l’epoca di Barak Obama, quella che gli ottimisti (qui più che mai eufemismo per dire stupidi) prevedevano magnifica e progressiva. Aggiungici che, nel 2011, Trump aveva più volte affermato (come direbbe Freud, mentendo, da narcisista ormai incapace di qualsiasi assunzione di responsabilità, soprattutto a se stesso – perché noi, senza essere sociolinguisti lo sappiamo che chiunque voglia il potere mente per averlo) che mai si sarebbe candidato alle elezioni presidenziali.
È quindi chiaro che le avventure in comic book di Billy Butcher e dei suoi ragazzi, protagonisti, appunto, di The Boys, sono una critica assolutamente generica (con toni violentemente caustici e satirici) al potere e alle storture della democrazia americana; ma sono soprattutto una rilettura critica e teorica (non sempre azzeccatissima, ma che quando lo è – come gli albi da 11 a 14, nei quali scopriamo la storia di Salsiccia dell’Amore – è davvero esilarante) dello statuto (stavo per dire ontologico, ma poi so che l’altro direttore mi cazzia e allora fai conto non l’abbia detto) dei super eroi nel sistema della cultura pop.
Quando Amazon Studios subentra a Cinemax e trasforma il progetto di serie tv che Eric Kripke ha scritto, basandosi sulla serie a fumetti di Ennis, in una produzione reale, è il novembre 2017. Trump governa da circa 10 mesi. La prima stagione della serie esce a luglio 2019, e siamo praticamente già oltre metà mandato. La seconda stagione esce nel 2020, praticamente a fine mandato. Ovviamente i generici riferimenti alla politica statunitense e all’ingerenza delle multinazionali presenti nella serie a fumetti, in quella televisiva diventano assolutamente diretti, e sempre più evidenti a ogni successiva stagione. Qualcuno se ne è reso conto solo la settimana scorsa, quando il team della serie ha pubblicato un post sui social con Patriota che faceva il verso alla pagliacciata di Trump che serviva hamburger in un McDonald’s, per far credere di essersi fatto da sé, a differenza della privilegiata Kamala Harris, partendo dal fondo e non come figlio dello speculatore immobiliare Fred Trump. Questi illuminati dell’ultimo minuto, diciamocelo, non brillano per perspicacia. Già dalla seconda stagione è evidente che, se il riferimento reale di Patriota è proprio Trump, quello di Victoria Neuman è Harris. Che Butcher, il suo alcolismo e il suo tumore al cervello siano Theodore Kaczinsky, in arte Unabomber, è una mia idea alla quale mi sono affezionato durante la quarta stagione. La quinta mi dimostrerà, probabilmente, che come sempre le mie interpretazioni non vengono tenute in considerazione dagli autori. Ma sono un critico, ho le spalle larghe come quelle di Antony Quinn in Zorba il greco e so ballare il sirtaki: riderò in faccia alla grandiosa catastrofe del mio sistema teorico.
Non divaghiamo. Abbiamo deciso (e questa volta, anche se l’editoriale lo scrivo io, non è stata una mia imposizione, ma una scelta – almeno in buona parte – condivisa dalla redazione) di dedicare questo mese a un tema ispirato alla serie più politica del momento perché nella notte di domani, come sempre ci accade ogni quattro anni – ma questa volta con più ansia e preoccupazione – , non andremo a dormire finché non sapremo chi sarà presidente di quel paese che sta gestendo la terza e, per il momento, più limitata delle guerre mondiali.
Non c’è bisogno che tu abbia letto Howard Zinn e Noam Chomsky (anche se di sicuro può solo giovarti) perché ti sia ormai evidente che non esistono presidenti americani buoni. Nemmeno meno peggiori. Dato per scontato che per quanto riguarda la politica interna son cazzi loro e se non hanno niente da ridire a fare un mutuo ogni volta che devono chiamare un’ambulanza (non ci siamo lontani neppure noi) si eleggano chi gli pare, il problema è la politica estera. Esistono presidenti USA la cui politica estera arreca meno danni al mondo. È per questo che domani non andremo a dormire finché non sapremo chi a mezzogiorno del 20 gennaio 2025 giurerà come presidente. Il paradosso (ce n’è sempre uno) è che come non sappiamo in che modo finirà la serie di The Boys, non sappiamo se per le sorti del mondo sarà meglio Patriota o Neuman. Nella serie Neuman è già stata eliminata, tifiamo Butcher per far fuori anche Patriota.
Però, passato il 6 novembre, il mese sarà lungo. C’è anche l’altra questione a cui prestare attenzione: il discorso critico di Ennis sui supereroi e, per estensione, sul fumetto e su tutto il resto. Intanto che aspettiamo di capire in che mani sarà caduto il mondo, e affastelliamo analisi geopolitiche un po’ raffazzonate, ci potremmo ritagliare dei momenti di relax in cui cercare di definire che roba è la critica che si occupa dei supereroi, e, di conseguenza, dei fumetti e, soprattutto, di tutto il resto.
Questo mese ci va di lusso: prendiamo due piccioni con una fava. Quale sia il migliore non sappiamo proprio dirlo.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.