In cui l’incauto scrivano, dopo essere stato informato di un errore che ha commesso, non comprende di non avere ancora imparato la lezione e, nonostante intuisca che Dennis possa aver iniziato il più classico dei viaggi dell’eroe, si perde all’interno di un racconto di Arthur Machen.
“A London Walk” / “Un passeggiata per Londra” (Prima parte)
Una lettura “in diretta” come questa che sto portando avanti può riservare dei rischi, come non cogliere degli elementi importanti, oppure prendere delle cantonate clamorose perché i materiali e i riferimenti che Alan Moore inserisce nel suo The Great When sono numerosi e coprono gli ambiti più disparati. Non mi ha quindi stupito più di tanto che Francesco Pelosi, con cui ho condiviso una chiacchierata su (Quasi), mi abbia segnalato che nel secondo pezzo, in cui avevo iniziato a raccontare quello che accadeva nel prologo, la donna con cui Aleister Crowley stava parlando non era Nancy Clara Cunard, come avevo indicato, bensì Dion Fortune, occultista, maga e scrittrice. Sempre Francesco, e contemporaneamente smoky man, mi hanno segnalato in seguito che proprio quella scena è presente anche nella vignetta finale di una delle schede a fumetti dedicate ai maghi presenti nel libro The Moon and Serpent Bumper Book of Magic di Alan Moore e Steve Moore. Quando sono andato a cercare qualche notizia su Fortune, ho scoperto il suo vero nome (cioè Violet Mary Firth) e ho finalmente compreso una frase, sempre in quella sezione del libro, che mi aveva lasciato un po’ perplesso perché non ne ero riuscito a comprendere con esattezza il senso: «What about your “Miss Firth was schooled at Radcliffe Hall” insinuations? And these from a flagrant bugger like yourself! (E le tue insinuazioni che “Miss Firth sia stata educata dalla Radcliffe Hall”? Dette poi da un palese sodomita come te!)». In questa manciata di parole abbiamo quindi diverse situazioni che avvengono contemporaneamente: la rivelazione del nome del personaggio femminile, un gioco sul verbo “to school” e il nome storpiato di Radclyffe Hall (autrice del romanzo The Well of Loneliness/Il pozzo della solitudine, indicato nella vetrina della libreria Lowell’s Books & Magazines) che dà l’impressione che stia parlando di un istituto scolastico, l’indicazione sulle voci di una possibile omosessualità di Dion Fortune e l’informazione al lettore della conclamata bisessualità di Crowley. Una frase densissima di informazioni e significati che è un buon esempio del livello di complessità presente nelle prima pagine.
Ma veniamo a questo nuovo capitolo. La mattina successiva agli eventi che ho descritto nelle ultime due settimane (qui e qui), Ada Benson attende Dennis in cucina, con tutti i libri comprati il giorno prima sparsi sul tavolo. Sembra preoccupata e domanda al ragazzo di dirle esattamente come ha fatto a pagare così poco i volumi. Il giovane, un po’ a fatica perché non capisce che cosa stia succedendo, le racconta che cos’era successo. Cercando di non spaventarlo e di essere chiara, gli rivela che il libro A London Walk del reverendo Thomas Hampole non esiste, era stato usato due volte da Arthur Machen nelle sue opere e proviene da un’altra Londra che nessuno conosce (Dennis pensa che si stia riferendo alla criminalità organizzata). Dev’essere riportato nel luogo da dove proviene, ma non si può provare a distruggerlo, per cui Dennis dovrà, come prima cosa, restituirlo a Harrison a ogni costo, anche usando la tortura, se necessario. La donna gli consegna una borsa dove inserisce il libro del reverendo Hampole e un altro volume di Machen, The Cosy Room, suggerendogli, se può, di leggere il racconto N perché potrebbe trovarlo di ispirazione. La donna però non ha molte speranze che lui ce la possa fare, dato che è convinta che sia uno sciocco che non la ascolta.
Pensando, sempre stupito, al comportamento della donna (aveva percepito che avesse tentato di non spaventarlo e avesse mantenuto la calma), parte verso la strada della libreria di Harrison. Poi si accorge dell’errore e cambia strada, rifacendo parte del percorso del giorno prima. Quando arriva a Soho, ha l’impressione che abbiano abbassato il tono delle voci delle persone (gli altri tipi di rumore, invece, continua a sentirli con lo stesso volume). Nota anche che almeno tre persone lo stanno osservando: crede di riconoscere l’uomo dalla scarpa di ferro e Maurice Calendar, mentre non riesce a distinguere bene il terzo. Poi vede un’ambulanza che porta via un corpo, che riconosce come quello di Harrison, e diversi poliziotti sparsi per la strada. Scappa finché non viene raggiunto da una figura che si rivela essere il principe Monolulu, che indossa sempre i suoi vistosi abiti africani (ricordate? L’uomo che in una delle scene del prologo si spacciava per nobile, con il potere di indovinare i risultati delle corse ippiche). Lo blocca e in quel momento a Dennis sembra che le voci attutite di prima riprendano a essere ascoltabili regolarmente. L’uomo vuole dargli un consiglio e gli consegna una busta che lo aiuterà in quello che dovrà affrontare. Dennis, stupito e spaventato, riprende a camminare e decide di cercare il suo amico John McAllister.
Al Cheshire Cheese, Dennis racconta a John quello che gli è accaduto. Il reporter, a sua volta, lo informa che Ada era venuta nella sede del suo giornale e aveva lasciato un messaggio per il giovane: gli suggeriva di non tornare in libreria per un bel po’ di tempo perché quella mattina aveva avuto la visita di alcune persone che volevano sapere dove fosse Dennis (la supposizione di John era che fossero quelli che avevano ucciso Harrison dopo avergli fatto rivelare chi aveva acquistato i libri). Lei aveva detto loro che non aveva visto il libro perché lui, Dennis, era scappato con quel volume. Cercando di gestire le informazioni che ha appena ricevuto, il ragazzo pensa che non debbano essere stati dei malviventi così pericolosi se avevano lasciato in vita la donna, ma il giornalista gli dice che non l’avevano toccata perché lei è Coffin (cioè “Bara”) Ada e gli rivela la ragione di quel soprannome: una volta, per dare una lezione a un uomo, l’aveva fatto rapire, aveva fatto scavare una fossa e poi l’aveva fatto mettere in una bara. L’avevano chiusa e poi riaperta dopo dieci minuti perché lei voleva solo spaventarlo. Il malcapitato però era morto per lo spavento. Al che, con la massima freddezza, aveva fatto richiudere la bara e l’aveva fatto seppellire nel suo giardino sul retro. Comunque, lei aveva riconosciuto, in mezzo a quelle persone, anche Jack “Spot” Comer (ricordate? Sempre nel prologo, era il teppista ebreo che partecipa alla battaglia di Cable Street per fermare la marcia dei fascisti). La donna non sapeva perché Comer stesse cercando il libro, ma Dennis non avrebbe dovuto darglielo in nessun caso perché altrimenti le cose sarebbero peggiorate. Dennis non sa cosa fare e John gli rivela che episodi come quello che sta vivendo in quel momento erano già avvenuti in passato. Ricorda il caso di un libraio, Teddy Wilson, che aveva trovato il libro Fungoids, scritto da Enoch Soames, che però era il protagonista del racconto omonimo di Max Beerbohm. Aveva cercato di rivenderlo alla proprietaria e ad altre persone, senza successo. Aveva cercato di bruciarlo, ma non ci era riuscito, finché probabilmente aveva cercato di buttarlo in un fiume ma, poco dopo, lo avevano trovato morto, con il corpo rovesciato, dall’interno verso l’esterno.
Il ragazzo tira fuori la busta datagli dal principe africano e, quando Dennis e John la aprono, trovano 26 carte che John riconosce come un mazzo realizzato da Austin Osman Spare, artista e occultista fortemente influenzato dal simbolismo e dall’art nouveau: il suo creatore affermava che servissero per prevedere gli andamenti delle corse. La discussione sembra finire lì e i due continuano a bere insieme, finché John decide che deve andare in ufficio per un po’. Anche Dennis se ne va e mentre pensa che forse la soluzione dei suoi problemi possa essere quella di mettere il libro (che non osa nemmeno toccare nella sua borsa) nella buca della posta di Harrison, viene visto da due uomini che iniziano a rincorrerlo. Spaventato, Dennis scappa e si infila in mezzo a vie poco illuminate, sperando di seminarli. Intravede un cancello in legno e pensa di infilarcisi dentro per nascondersi, ma quando è ormai vicino capisce che si tratta in realtà di un mucchio di bancali di legno. Non riesce a fermarsi, sebbene non capisca come abbia fatto ad aprire il cancello e in quell’istante finisce da un’altra parte, probabilmente in un’altra dimensione. Ma di questo parleremo la prossima settimana.
Possiamo notare diverse cose in queste pagine. Innanzitutto, che alcuni dei fili narrativi inseriti nel prologo, e che sembravano degli esempi in cui la Londra alternativa si sovrapponeva alla Londra che conosciamo per mostrare che le interconnessioni ci sono sempre state nel corso dei decenni (o forse anche dei secoli), si stanno collegando alla vicenda principale (l’arrivo irruento del principe Monolulu e la comparsa di Jack “Spot” Comer per minacciare la proprietaria della libreria). Questa idea della possibile unicità di quegli eventi mi era venuta soprattutto a causa di una recensione che avevo letto prima dell’uscita del libro, in cui chi scriveva diceva che aveva trovato particolarmente ostiche le prime pagine e che, una volta finito il romanzo, continuava non capire cosa stesse succedendo e come quella parte fosse collegata al romanzo. Credo che possa essere un segno evidente della difficoltà di quel prologo se non si posseggono le informazioni fondamentali che ho cercato di esporre negli articoli precedenti… e di cui vi ho dato un ulteriore assaggio all’inizio, con la sintetica spiegazione della frase tratta del libro.
L’altro aspetto toccato solo di striscio (ma intenzionalmente già presente nella prima scena del prologo) è il tema della magia e delle persone che, storicamente, l’hanno praticata, e che ritorna con una certa importanza. Come è noto, nel giorno del suo quarantesimo compleanno, Alan Moore ha deciso di abbracciare la magia e, da quel momento, questo elemento non solo ha percorso la sua opera, ma è stato anche un suo modo personale di leggere il mondo e la realtà che lo circonda. È per questa ragione che le persone che vengono citate in queste pagine non sono trattate alla stregua di ciarlatani di ultima categoria, ma da artisti, come Austin Osman Spare, per cui l’occulto era una cosa seria e importante, anche a livello di crescita personale (se non l’avete letto, dato un’occhiata all’articolo introduttivo di smoky man sul libro di Alan Moore e Steve Moore citato all’inizio The Moon and Serpent Bumper Book of Magic). In più, queste persone non erano tenute ai margini della società come dei folli sconclusionati oppure dei propugnatori del diavolo (come invece potrebbe capitare adesso), ma erano inserite all’interno di un mondo colto e importante, con amicizie di alto livello. Per esempio, Spare era amico di Max Beerhom, che ho citato prima per l’esempio del libro impossibile, ma che è anche nominato in precedenza perché uno dei libri di Machen acquistati da Dennis è una copia autografata e dedicata proprio a questa persona. Spare è anche amico di Dennis Bardens, citato nel libro, un importante giornalista che nel 1953 ha inventato per la BBC il programma “Panorama”, che continua tuttora e che è stata la fonte di ispirazione per quello che sarebbe stato il famoso “60 minutes” statunitense, che va in onda con grande successo ancora adesso.
Ma credo che la cosa più importante, sebbene passi un po’ inosservata, sia la presenza di un’opera di Arthur Machen ben precisa, cioè l’antologia di racconti The Cosy Room, di cui Ada consiglia non a caso di leggere, se ne ha l’occasione, il racconto N perché potrebbe essere utile a Dennis. Con questo elemento, infatti, il romanzo dichiara la sua intrinseca natura “aperta” e la capacità di usare le citazioni a mo’ di scatole cinesi che, invece di andare verso l’interno, alla ricerca di un nucleo nascosto, si indirizzano all’esterno, allargando i confini e le finalità del romanzo stesso, potenzialmente all’infinito. Questo racconto, scritto nel 1933, parla di tre amici, non più giovanissimi, che si incontrano regolarmente per bere e discorrere di vari argomenti, come le passeggiate a piedi per le vie di Londra che hanno effettuato, e inframmezzando la conversazione con riferimenti continui agli scrittori che hanno frequentato o abitavano nei luoghi che hanno incrociato durante i loro giri. Un giorno la discussione tocca una zona di Londra vicino a Stoke Newington e Perrott, uno dei tre uomini, ricorda che tempo prima un suo lontano cugino gli aveva parlato di un luogo bellissimo a Canon’s Park. L’altro amico, Harliss, che conosce bene quella zona, non riconosce la descrizione di quel luogo, e afferma che in quel punto è presente solo un edificio. Quando i due amici se ne vanno, ad Arnold, il terzo, rimane la curiosità di saperne di più su quel luogo e, dando un’occhiata alla sua libreria, trova il libro del reverendo Hampole comprato da Dennis nella finzione creata da Moore. Arnold inizia a leggerlo e, tra le varie considerazioni presenti nel volume, il reverendo accenna alla possibilità che, in certe condizioni, possa avvenire una trasmutazione dell’universo, che ci porterebbe a vedere, ma anche ad abitare, il paradiso primordiale. Questa idea è suffragata da un evento di cui fu protagonista: per un certo periodo sostituì un altro reverendo nella parrocchia di Stoke Newington perché doveva prendersi una pausa e curarsi. Alla fine della sostituzione, la sera prima di lasciare quel luogo, un parrocchiano lo invita a casa sua e gli fa guardare fuori dalla sua finestra. All’inizio Hampole non vede nulla di strano, ma poi, quando viene toccato dall’uomo, vede uno scenario completamente diverso: un parco di una bellezza ultraterrena. Viene colto da un’estasi di gioia e beatitudine, che però si trasforma ben presto in terrore e ripugnanza, e scappa dalla stanza.
Arnold è convinto che ci sia un collegamento tra il racconto del cugino di Pernott e quello letto nel libro. Si reca in quei luoghi, ma non trova nulla di strano. Decide allora di recarsi nei pub, dove spera di incontrare qualcuno che possa riconoscere o ricordare un parco come quello di cui aveva sentito parlare. Dopo vari tentativi, in un locale, fa la conoscenza di un gruppo di uomini che ricordano un evento strano avvenuto nella zona di Canon’s Park, e che ne ha provocato la fama negativa che ora possiede: circa quarant’anni prima sorgeva un manicomio e uno dei malati era riuscito a scappare, prendendo alloggio a casa di una donna non lontano da quei luoghi. Un giorno l’uomo disse che apprezzava molto la vista che godeva da quella casa, ma quello che descrisse alla donna non corrispondeva minimamente a quello che lei normalmente vedeva. Poi quella stessa notte, lo sentì parlare ad alta voce in una lingua sconosciuta e poi in inglese, probabilmente con una donna con cui sembrava avere una certa intimità. La mattina dopo, la donna iniziò a chiedere in giro chi potesse essere quell’uomo, capì che si trattava del pazzo che era fuggito e chiamò la polizia, che lo catturò. Alla fine del racconto, Arnold si separa dal gruppo di avventori, domandandosi se quell’uomo era davvero pazzo, più pazzo del cugino di Pernott o del reverendo Hampole.
Giorni dopo, Arnold incontra di nuovo gli amici e racconta questi ulteriori avvenimenti, aggiungendo che, desiderando dare un’altra occhiata a Canon Park, un tardo pomeriggio era ritornato lì e aveva incontrato un giovane che aveva perso la strada e la casa dove viveva con una donna. L’impressione che ebbe Arnold fu che quell’uomo si era perso per sempre e che forse poteva esistere una pericoresi, cioè una compenetrazione tra gli elementi umani e quelli divini.
Quello che unisce questo racconto al Great When sembra essere l’approccio di questa storia e il suo contenuto: lunghe passeggiate per i luoghi della città (con una conseguente strizzatina d’occhio alla psico-geografia), i racconti che si intrecciano l’uno dell’altro, creando continui rimandi interni e, soprattutto, l’idea di una realtà su cui si potrebbe alzare un velo per rivelarne una completamente diversa.
Non so se questa supposizione sia plausibile, ma leggendo questa storia e il romanzo Il cerchio verde, dove si trova di nuovo A London Walk e un’altra compenetrazioni di realtà diverse, simile a quanto avvenuto in questo racconto con l’edificio del manicomio e il parco lussureggiante, sembra che Machen usi il “finto” libro per collegare situazioni ed esprimere una visione del mondo (e dell’ultraterreno), forse in una maniera non così dissimile da quello che ha fatto H.P. Lovecraft con il suo Necronomicon. Considerato quello che abbiamo potuto (intra)vedere finora nel romanzo di Moore, potrebbe non essere un’ipotesi così lontana dal vero, oltre al fatto che questo renderebbe il libro (se non addirittura l’intera serie di romanzi) un lavoro analogo a quello che in precedenza ha fatto con Providence. In questo caso, però, lo scrittore inglese è andato direttamente a una parte di quelle che possono essere considerate le origini dell’orrore cosmico, in un territorio geografico molto più vicino a lui e con delle atmosfere che conosce molto bene.
Ha accumulato diversi sostantivi a cui può aggiungere il prefisso “ex” (fanzinaro, correttore di bozze, redattore, editore, letterista-impaginatore sotto pseudonimo, articolista…), mentre continua ancora, sporadicamente e per passione, a tradurre libri a fumetti.