Non mi è mai importato nulla dei robottoni. Né di quelli di Go Nagai né di quelli di Yoshiyuki Tomino, tanto meno dei Transformers, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Probabilmente per questo motivo sono arrivato molto tardi a Neon Genesis Evangelion, ormai lontano dall’età dei protagonisti che nell’anime salgono a bordo degli Eva. Ciononostante, sono proprio i tre ragazzi, ai quali si unisce una donna che dovrebbe dare loro una direzione e che invece a volte rivela comportamenti più adolescenziali dei loro, ad avere destato la mia curiosità, facendomi diventare velocemente un appassionato della saga. Col tempo, oltre ad aver visto tutta la serie, ho guardato anche tutti i lungometraggi, ho letto il manga disegnato da Yoshiyuki Sadamoto e un saggio, ho sfogliato sia gli artbook Groundwork sia Evangelion Illustration, ho ascoltato un podcast dedicato alle opere di Hideaki Anno e ho condiviso la mia passione con amiche e amici.
Come anticipato, a starmi particolarmente a cuore sono i cosiddetti Children: Shinji, Asuka e Rei, ai quali aggiungo Misato, la responsabile del reparto operativo della Nerv. I quattro personaggi hanno grossi problemi di comunicazione. Shinji non riesce a parlare con suo padre e preferisce isolarsi piuttosto che stare con i coetanei; Asuka in passato non è riuscita a farsi amare dalla madre, per la quale era del tutto invisibile, e ora si impone su chi la circonda ostentando una sicurezza che in realtà non possiede; Rei parla pochissimo e, quando qualcuno si rivolge a lei, sembra quasi sempre fuori fase; Misato strilla, ride e piange, ma non è capace di esprimersi in modo comprensibile. Per tutti loro la comunicazione è possibile solo davanti a una sorta di specchio. Accade di rado, ma l’importante è che capiti, che i Children entrino in contatto: Shinji e Asuka si respingono, si avvicinano, infine quando sembrano essersi trovati si perdono; Rei e Asuka si incontrano nello scontro; Rei e Shinji arrivano a comprendersi così a fondo che lei si sacrifica per salvare lui. In tutti e tre i casi l’Io dialoga con l’Altro solo nel momento in cui riconosce l’Altro come Io. Al di fuori di questo circuito, un rapporto equilibrato di ascolto reciproco non è attuabile, soprattutto non è possibile tra adolescenti e adulti. Se nella condivisione di status ed esperienze, ragazze e ragazzi trovano un punto d’incontro per cui, superando le barriere, diventano un tutt’uno, con “i grandi” manca un terreno comune.
Dall’anime alla realtà. Per lavoro trascorro tantissime ore alla settimana con persone molto giovani. Sempre più spesso lamentano di non essere viste e ascoltate dai genitori. Mamme e papà rimandano le conversazioni perché non hanno tempo, continuano a guardare lo smartphone mentre figli e figlie parlano, salvo poi sfoderare il rimprovero se subiscono lo stesso trattamento, impongono scelte scolastiche e sportive, ignorano segnali allarmanti, osservano il dito quando viene loro indicata la luna. Potrei dilungarmi o entrare più nello specifico, ma questi sono i concetti che mi sento ripetere di continuo. Non ho soluzioni per queste ragazze e per questi ragazzi… di solito, dopo aver prestato la maggiore attenzione possibile, nelle nostre conversazioni cerco di tenere aperti i canali comunicativi condividendo con loro alcune mie esperienze. In particolare provo a mettere a disposizione quello che ho vissuto quando avevo la loro età, a volte per farci una risata, altre per ricavarne una sorta di exemplum, altre ancora perché le avventure e le disavventure di qualcuno diventano utili per qualcun altro. Non manca mai il momento in cui finisco per consigliare Neon Genesis Evangelion, perché in fondo il cartone animato è una storia di relazioni: amare, serene, tristi, divertenti, frustranti, felici, traumatiche, confortevoli, sconfortanti… necessarie. Inoltre offre uno spunto interessante: quello che Anno chiama «AT field» è semplicemente lo spazio che separa l’Io dall’Altro e ridurre lo spazio può comportare sia dolore sia piacere: talvolta va bene, talaltra va male, ma, se lo spazio aumenta, aumentano anche le probabilità che il dolore prevalga sul piacere.
Sognava di diventare un calciatore professionista, ma a sedici anni si è svegliato e l’incubo è cominciato. Continua ad amare il calcio tanto quanto ama leggere fumetti di tutti i tipi. Cerca di sbarcare il lunario, scrive per QUASI e Lo Spazio Bianco, parla per il podcast hipsterisminerd e per LSB Live.