In cui l’incauto scrivano trova conferma delle sue ricerche e letture su Arthur Machen, ma esprime perplessità su alcune parti leggermente didascaliche.
“Catshit Manor” / “Villa Merdadigatto”
La settimana scorsa, con il breve viaggio di Dennis nella Londra alternativa, punto focale di The Great When, l’ultimo romanzo di Alan Moore, di cui aggiungo un nuovo tassello ogni martedì, abbiamo raggiunto un punto di svolta all’interno della storia. Grace, la prostituta che Dennis aveva incontrato verso la fine del primo capitolo, è arrivata casualmente in suo soccorso, dopo il drammatico ritorno alla loro realtà, e lo conduce nel suo appartamento di Folgate Street. Lì, il ragazzo le racconta dell’acquisto della partita di libri, di quello che avrebbe dovuto fare per risolvere il guaio in cui era finito, di ciò che gli è successo nella Long London e del perché quei fatti possono essere collegati con quello che la ragazza aveva visto giorni prima. Lei non è completamente convinta di quelle parole, ma ha anche dei dubbi sul fatto che il giovane abbia potuto inventarsi delle cose così assurde. Quindi gli offre una momentanea ospitalità, perché lui non può tornare da Ada, e lei è decisamente curiosa di sapere qualcosa di più della persona che incontrerà il giorno dopo, Austin Osman Spare, dato che è rimasta molto colpita dalle carte di divinazione che il ragazzo le ha mostrato e di cui ha apprezzato lo stile di disegno.
Grace prepara qualcosa da mangiare e gli racconta che durante la guerra è stata una dei tanti minori sfollati e mandati in luoghi più sicuri in campagna, lontani dai loro genitori. Quando era tornata a Londra, aveva scoperto che i genitori erano morti sotto i bombardamenti e dopo un po’, per sopravvivere, si era data alla prostituzione, senza però l’ausilio di un protettore. Prima di andare a dormire, lei si raccomanda di non farsi vedere da nessuno nel palazzo (se deve pisciare, può anche farlo nel lavandino). Dennis non ha sonno e si ricorda che nella borsa ha l’antologia The Cosy Room di Arthur Machen, per cui segue il suggerimento di Ada e legge il racconto “N”. Ne rimane piuttosto impressionato perché scopre che si parla in dettaglio del libro A London Walk, ma soprattutto gli sembra di riconoscere la parola “pericoresi”, indicata nell’ultimo paragrafo della storia, come un termine pronunciato da Maurice nell’altra Londra.
Il giorno dopo, mentre fa colazione in un bar, pensa che, poiché sta per andare a cacciarsi in mezzo a potenziali guai, sarebbe meglio informarne uno dei suoi amici. La scelta cade sul giornalista Clive: lo chiama, gli dice che sta per fare qualcosa di pericoloso e vorrebbe parlargliene, per cui si danno appuntamento due giorni dopo. Poi riprende il viaggio e, dopo aver percorso un tratto a piedi e poi in autobus, arriva nella zona di Brixton, che mostra ancora i segni della devastazione dei bombardamenti tedeschi. Guardandosi attorno, fa delle considerazioni sulle persone che vede, che non appaiono così disperate come ci si potrebbe aspettare, visto dove e come vivono. Riflette che gli inglesi, dopo tutto quello che hanno passato, in patria o al fronte, sembrano essere determinati a superare quel momento difficile, pensando alla propria situazione in modo diverso e trovando dei modi per svagarsi, come ascoltare qualche canzone oppure assistere agli spettacoli di qualche comico. Vede anche un paio di persone provenienti dai Caraibi e si stupisce di pensare che, in modo automatico, si aspettava che avessero un aspetto più folcloristico. Quello che viene indicato in questo punto, quasi di sfuggita, è il riferimento a un importante evento, quello della “generazione Windrush” che sarebbe diventata una delle pagine più vergognose della recente storia britannica. Alla fine degli anni Quaranta, vennero chiamate moltissime persone dal Commonwealth e soprattutto dalle Indie Occidentali per aiutare a ricostruire il paese che era uscito a pezzi dalla recente guerra mondiale. Il problema si ebbe alla fine degli anni Dieci di questo secolo perché l’Ufficio dell’Interno britannico incautamente distrusse i documenti delle migliaia di persone che erano emigrate lì. La conseguenza fu che, qualche anno dopo, soprattutto dopo la Brexit e il clima pesante che stava montando nei confronti dell’immigrazione, quelle stesse persone si sono viste negate diversi diritti, come la pensione o le cure mediche, e hanno rischiato di essere espulse perché non esisteva più la documentazione che attestava il loro diritto a vivere legalmente in quel paese.
Quando Dennis arriva a Wynne Road, una donna a cui chiede informazioni su dove trovare Spare, gli indica la casa giusta (il ragazzo ha l’indirizzo, ma non il numero civico). Ada Millicent Pain, la persona che gli apre, vorrebbe liberarsi del visitatore, ma quando sente che è stato mandato dal principe Monolulu, informa il pittore occultista e lo fa entrare. Questo è un momento particolare della vita di Spare. Dopo aver avuto una crisi esistenziale verso la fine degli anni Trenta, fu proprio questa donna, una sua amica d’infanzia con cui un tempo ebbe una relazione, e l’arrivo del Surrealismo nella capitale britannica a far riaccendere la fiamma della passione verso la pittura e a indirizzarlo verso nuove direzioni e un nuovo stile di disegno. Durante il periodo del Blitz, però, lo studio venne distrutto e lui fu ferito piuttosto seriamente, mettendo in dubbio la possibilità che potesse dipingere ancora. Grazie a Millie Pain, riuscì a trovare casa nella zona di Brixton e quando Dennis lo visita è all’inizio di un nuovo vigore creativo, iniziato nel 1947, che avrebbe accompagnato l’artista fino al momento della sua morte, nel 1956.
Dennis scende nel suo studio (un cubicolo sotterraneo che puzza di umidità e con diversi gatti, come tutta la casa, del resto) e lo trova a dipingere un ritratto femminile. Racconta all’uomo la sua esperienza a Long London e Spare afferma che il ragazzo ha avuto un esempio della “Theoria”, il concetto citato dallo stesso Machen nella sua autobiografia Far Off Things per spiegare la visione di Londra che ha avuto una sera del giugno 1880: voleva dire che, attraverso la contemplazione, è riuscito a osservare la verità spirituale che si nasconde dietro il mondo naturale, in quella Surrey Street che lui e Maurice Calendar avevano attraversato durante la loro corsa nel capitolo precedente. Spare cerca di spiegargli che cosa rappresenta quell’altra Londra, ma senza molto successo. Gli chiede come ha fatto a uscire da lì e il ragazzo rivela che è stato tramite Maurice. Il pittore-mago lo conosce, come tutti gli altri del suo gruppo: Blincoe, Monolulu e Piede di Ferro. Chiede di vedere il libro del reverendo e, sfogliandolo, concorda su quello che aveva affermato Maurice: deve essere riportato ai “City Heads” perché quel volume rappresenta una prova e creerebbe molti problemi se fosse trovato. Aggiunge che se è d’accordo, terrà lui il libro e l’indomani mattina lo aiuterà a risolvere la situazione. Nel frattempo, gli chiede se è disponibile a venire con lui in un pub perché deve incontrarsi con Kenneth Grant (ricordate? Era già apparso nella prima scena del prologo, quando portava un piatto di sandwich ad Alisteir Crowley: un altro filo narrativo che si ricongiunge), la moglie Steffi e John Gawsworth, il biografo di Arthur Machen, nonché curatore di The Cosy Room. Il giovane accetta e salgono per mangiare qualcosa, prima di uscire per la serata.
Prima di uscire, Spare si raccomanda di non parlare di Long London con le persone con cui si vedranno perché loro, a differenza di Crowley e Machen, non sono a conoscenza di quella realtà. Raggiungono il pub, dove trovano già i tre, abbigliati in maniera inadatta al luogo dove si trovano. Ben presto si creano due gruppi di conversazione: mentre Osman parla con Kenneth Grant e Steffi, che cercano di convincerlo a prendere il posto di Aleister Crowley, morto da un paio d’anni, Dennis, che è stato presentato come uno studente, cerca di sondare Gawsworth per ottenere maggiori informazioni su Machen e sul libro inesistente. L’uomo, che aveva scritto una biografia dello scrittore, parla in maniera approfondita della convinzione di Machen, soprattutto dopo la scomparsa della prima moglie Amy Hogg (di cui Moore aveva già parlato in Serpenti e scale), che esista un velo che nasconde una realtà diversa, di cui ha avuto qualche sprazzo durante la sua esistenza, e che ha raccontato in tutta la sua opera (cita anche lui il concetto greco di “Theoria”), ma soprattutto tramite l’artificio del libro del reverendo Hampole, presente nel romanzo Il cerchio verde e nel racconto “N”. Al che, Dennis afferma di aver letto proprio il giorno prima quel racconto e tira fuori il libro, inavvertitamente assieme alla busta con le carte create da Spare. Gawsworth rimane colpito e gli chiede se è interessato che glielo autografi, anche se non era l’autore ma solo il curatore. Grant e Steffi notano anche la busta e Dennis dice quello che contiene. A questo punto anche Osman gli domanda se vuole che glielo firmi e il giovane fa fare una dedica per Grace. Poco dopo, il ragazzo decide di andarsene per tornare all’appartamento della ragazza e quando varca la porta, si trova davanti a una scena inaspettata: lei non è da sola ma in compagnia del criminale Jack “Spot” Comer e di altri due scagnozzi.
Non c’è molto da aggiungere, rispetto a quello che è già stato detto nei precedenti capitoli. L’azione ha preso il via, sebbene non accada molto in questa trentina di pagine, continua il ritratto della Londra e della Gran Bretagna dell’epoca e Moore capitalizza sulle azioni e sulle informazioni che sono già state comunicate in precedenza. L’unica “tecnica” un po’ strana e che non mi sarei aspettato è che, a differenza di quello che era avvenuto finora e di quanto espresso negli iniziali video promozionali, i personaggi raccontano un po’ troppo, a volte forse in maniera didascalica, e ci sono alcuni “spiegoni” (i dettagli sulla vita di Spare, come quando gli era stato chiesto di realizzare un ritratto di Adolf Hitler, ma soprattutto l’analisi dell’opera di Arthur Machen) che rendono più accessibili alcuni aspetti del romanzo, ma allo stesso tempo tolgono parte del fascino che ha il libro nel farti cercare i riferimenti sparsi di qua e di là e nell’indurti a formarti la tua idea sul significato di quello che sta accadendo. Questo è ovviamente naturale e comprensibile, però mi lascia, per una volta tanto, con ben poco da aggiungere rispetto a quanto appena raccontato.
Ha accumulato diversi sostantivi a cui può aggiungere il prefisso “ex” (fanzinaro, correttore di bozze, redattore, editore, letterista-impaginatore sotto pseudonimo, articolista…), mentre continua ancora, sporadicamente e per passione, a tradurre libri a fumetti.