In cui l’incauto scrivano scopre che leggere il libro nella sua versione originale potrà fargli apprezzare le finezze del linguaggio di Alan Moore, ma non gli permette di accedere alle misteriose annotazioni presenti nell’edizione italiana.
“Of Popes and Pot-Pourri” / “Di papi e pot pourri”
Qualche giorno fa, nei miei quasi quotidiani scambi di messaggi con smoky man, che sta portando avanti la lettura pubblica di The Moon and Serpent Bumper Book of Magic di Alan Moore e Steve Moore (trovate i pezzi finora usciti qui e qui), salta fuori casualmente che nell’edizione di The Great When pubblicata da Fanucci sono presenti delle note che spiegano alcuni dei numerosi riferimenti che costellano quasi ogni pagina. Dal tipo di prosa e da qualche accenno sembrerebbe essere un testo non preparato dalla traduttrice Tessa Bernardi (se invece fosse così, mi scuso per l’errore) bensì dello stesso Moore. Vengono fornite solo delle indicazioni veramente minime per far comprendere alcuni passaggi che, senza la conoscenza di quella manciata di nozioni, rischierebbero di essere piuttosto oscuri. Al di là del fatto che, se scritta effettivamente da Moore, non sono riuscito a trovarne traccia da nessuna parte, dato che non è presente nella mia edizione, tale aggiunta sembra vanificare il discorso iniziale dell’autore stesso quando affermava che all’inizio il lettore avrebbe dovuto faticare un po’, ma poi sarebbe stato “ricompensato”. È vero che i riferimenti sono davvero tanti (io stesso ne scopro di nuovi, andando a riguardare pagine passate oppure facendo collegamenti con i passaggi già letti) per cui questo aiuto è parziale, però la “concessione” al lettore sembra togliere quello sforzo che sembrava richiedere la lettura (e che è stata una delle ragioni che mi ha spinto a iniziare questa serie di articoli). Spero comunque che quel pugno di lettori che segue questa rubrica non se ne abbia a male per questa rivelazione e vi garantisco che, avendo acquistato solo l’edizione inglese, sto realmente scoprendo, passo dopo passo, assieme a voi, quello che accade in queste trecento e passa pagine. Per cui, dopo questo lungo sproloquio iniziale, posso riprendere a parlare di quello che accade nel quarto capitolo.
La settimana scorsa ci eravamo lasciati con un nuovo cliffhanger: dopo aver passato la serata con il pittore-occultista Austin Osman Spare e alcuni suoi amici, Dennis arriva all’appartamento di Grace, la ragazza che lo sta aiutando, e la vede minacciata da un elegante Jack “Spot” Comer e due altri scagnozzi. Ora ritroviamo i due ragazzi seduti sul divano, con ai lati i due tirapiedi e Comer di fronte, con un rasoio aperto vicino, che chiede dove si trova il libro. Per uscire da quella situazione, il ragazzo decide di dire la verità e di non mentire: afferma che il volume non è quello che Comer pensa, cioè non è solo un passaporto per un’altra zona di Londra, ma una condanna (cita il caso del libraio Teddy Wilson). Poi rimane vago sul fatto che il libro si trovi a Brixton a casa di un pittore-mago un po’ folle. Comer riconosce Spare in quel personaggio e si dispera. Poi si riprende, affermando che, se vuole rimanere in vita, dovrà organizzargli un incontro con qualcuno dell’altra parte di Londra.
Siccome la discussione sembra procedere a rilento, il giovane propone di parlare senza giri di parole, per cui l’altro fa uscire i suoi gorilla e la ragazza. A quel punto, il ragazzo rivela quello che era successo, da quando era scappato dai suoi due scagnozzi alla visita a Long London. Aggiunge che il giorno dopo dovrà farvi ritorno con Spare perché deve riportare il libro alle “Teste della Città”. Ora è il turno di Dennis di chiedere al criminale perché sembra credere a tutte le assurdità che gli sta raccontando, e l’altro rivela di aver avuto la percezione iniziale di quest’altra realtà durante la battaglia di Cable Street, quando aveva visto, in mezzo alle persone che manifestavano e si picchiavano, una gigantessa che camminava senza che nessuno si accorgesse di lei (un nuovo collegamento con quanto era accaduto nel prologo, quindi). Dopo quell’episodio, era riuscito a recuperare alcune informazioni, e si era fatto un’idea di quest’altra realtà: è quella dimensione a guidare la loro, per cui tutto quello che accade qui in realtà viene deciso nel mondo di Long London. Per cui la sua intenzione è quella di recarsi laggiù per parlare e accordarsi con una persona molto importante, una specie di “dio dei cattivi”, ed essere tranquillo riguardo il suo futuro, visto che la sua attuale situazione potrebbe complicarsi. Dennis afferma che potrebbe esporre il suo caso alle “Teste della Città”, ma non garantisce il risultato. Per Comer non è abbastanza e come incentivo terrà prigioniera Grace: se fallirà o non tornerà, la ucciderà e poi gli darà la caccia. I due tirapiedi riportano dentro la ragazza e poi se ne vanno, lasciando i due giovani da soli.
La mattina dopo Dennis viene accompagnato a casa di Spare. Questa volta la padrona di casa lo fa passare senza discutere e il ragazzo trova il pittore mentre mette a posto la stanza. Non è contento quando il giovane lo informa della promessa che ha fatto perché potrebbe essere complicato mantenerla e poi chiede a Dennis se può aprire un armadio: mentre sta per afferrare il pomello per aprirlo, si rende conto che non c’era spazio per un mobile del genere in quella stanza e che qualche istante prima su quel muro c’era il disegno di un rettangolo sghembo fatto con il gesso. Finiscono entrambi nell’Altro Quando e Spare si scusa per non averlo avvertito, ma il passaggio funziona meglio se non si pensa a quello che si sta per fare.
Con il passaggio all’altra dimensione, abbiamo di nuovo lo stesso stile di due capitoli fa: il testo in corsivo e i paragrafi che non iniziano con la lettera maiuscola, né finiscono con il punto fermo, in un flusso costante e, allo stesso tempo, spezzato. Questa volta il viaggio che i due personaggi compiono per andare a trovare le “Teste della Città” è più lungo e tortuoso. Abbiamo una visione più chiara di che cosa sia Long London: ogni quartiere ha il nome che richiama la zona a cui si riferisce, ma a cui viene aggiunto un altro aggettivo o sostantivo per attribuire un carattere specifico (per esempio, “Burn O’ Brixton”). Ogni cosa è in costante mutamento, come se qualsiasi essere vivente od oggetto inanimato vedesse accelerata la propria esistenza, per cui si può vedere a occhio nudo quello in cui si trasformano, decadono e rinascono. Il tempo non funziona in maniera accelerata solo per gli elementi “fisici”, ma anche per la Storia: in alcune zone ci sono avvenimenti del passato che si rincorrono e si intrecciano, come una sorta di magma temporale che contiene e mescola tutto.
La visione di Moore di questo mondo è potente e riesce a trasmettere l’idea di quali possano essere le regole che lo governano. È anche l’espressione del potere della parola, perché quello che fa l’autore non è di descrivere in modo dettagliato quello che avviene, ma fornire un accenno con una manciata di parole suggestive e le immagini che evocano, accomunando termini che non sono facilmente affiancabili. È una malìa (una magia?) che riesce a realizzare un’operazione quasi impossibile: essere estremamente visiva ma, allo stesso tempo, di difficile rappresentazione, nel caso qualcuno decidesse di trasporla in una qualche forma (disegnata o con riprese dal vivo): la mente sembra non avere limiti in quello che riesce concepire, mentre sappiamo che ci possono essere delle limitazioni in quello che si è in grado di rappresentare. In più, non descrivendo esattamente tutto, lo scrittore rende partecipe il lettore di quello che avviene sulla carta, liberando la sua fantasia e il suo potere di immaginare quegli spazi vuoti che le parole (scritte) di Moore lasciano, mettendo in atto quindi un’operazione analoga (se non superiore, a livello di forza creativa) a quello che fanno i lettori di fumetto con il meccanismo dello spazio bianco che separa le vignette.
In questo scenario sur-reale accade anche un’altra cosa. Da un accenno («All of us artists, poets and ne’er-do-wells ‘have done alright from the Great When/Tutti noi artisti, poeti e buoni a nulla abbiamo guadagnato decentemente dal Grande Quando»), sembra che il Grande Quando possa anche essere un’altra cosa: la rappresentazione letteraria del concetto di “Ideaspazio” che Alan Moore ha descritto numerose volte, cioè uno spazio della mente da esplorare per trovare le proprie ispirazioni e idee, e dove la strada che guida il proprio percorso creativo si può incrociare con quella di altre persone e autori. In maniera analoga, nel romanzo si fa riferimento a vari scrittori che hanno visitato questa dimensione (Arthur Machen, ovviamente, ma anche William Blake) e poi hanno preso da questa terra fantastica (in tutti i sensi) quel senso della magia e della fantasia con cui rendere vive e appassionanti le proprie opere. È questo il mondo, come viene ripetuto diverse volte, da dove parte tutto, da dove ogni cosa ha la propria origine, ed è da qui che il creatore è in grado di trarre le proprie ispirazioni e idee (che siano cose che “vede realmente” oppure concetti che lo ispirano). Moore chiude il proprio cerchio creativo, dando forma fisica a un concetto che l’ha accompagnato per anni di creazioni artistiche.
Ma cerchiamo di elencare che cosa accade in questo paesaggio: Dennis e Spare (che appare trasfigurato e con un aspetto vagamente diverso) sono in uno spazio sottoterra (erano in un seminterrato quando sono passati dalla Short alla Long London), per cui risalgono in superficie. Dennis non si sente benissimo, ma non prova l’impulso fisico di vomitare come gli era accaduto la volta precedente. Devono dirigersi verso la zona del Tower Bridge, dove porteranno il proprio caso, e poi Spare affiderà Dennis a Monolulu. Mentre procedono, vedono una gigantesca sfinge nello stesso posto del pub dove avevano trascorso la serata il giorno prima, un altro Arcano, nominato nella scena del prologo ambientato all’ippodromo (“Inferred Saracen”), osservano la nascita di una fata e passano accanto a una prigione, dove vedono delle strane creature, dalle forme vagamente insettoidi, chiamate “Papi delle Lame”, e che potrebbero essere i precursori dell’ondata di maniaci assassini contemporanei. Spare accenna anche al fatto che Jack lo Squartatore venisse in realtà da questa dimensione: è interessante notare come i riferimenti all’omicida di Whitechapel, in particolare, ma anche ad altri assassini sia costante, come se una cappa di malvagità avesse coperto la capitale della Gran Bretagna e ne avesse pervaso l’esistenza da più di un secolo.
Arrivano al luogo corrispondente al pub Crown & Dolphin e vengono ricevuti dalle “Teste della Città”: letteralmente, trenta-quaranta teste staccate dal proprio corpo e messe sotto una campana di vetro, assieme a dei fiori secchi (il pot-pourri del titolo del capitolo). Sono presenti personaggi storici, come Oliver Cromwell, Emanuel Swedenborg e Anna Bolena, e Spare, di fronte a loro, si fa portavoce delle istanze di Dennis: prima, restituendo il libro inesistente e ponendo la domanda del perché continuano a comparire libri di quella dimensione nella Short London, al che si accenna al fatto che ci potrebbe essere un Arcano ribelle dietro a questo fenomeno; poi, domandando un incontro tra qualcuno di Long London e un criminale che, a causa di quel libro, tiene sotto scacco Dennis e una sua amica. All’inizio sono contrari, ma la testa di John Williams, un presunto assassino di una serie di omicidi avvenuti nel 1811, è d’accordo nel fare incontrare Comer con Harry Lud, un criminale di Long London, alla mezzanotte del giorno successivo. Un altro elemento importante di questo dialogo è il vago accenno al fatto che Dennis sia collegato al loro futuro, sebbene non sia certo se questa situazione apporterà degli effetti positivi o negativi: non sappiamo ancora se questo sia il riferimento a qualcosa che avverrà in questo libro oppure in un romanzo futuro.
Dennis e Spare escono dall’edificio e trovano Monolulu ad aspettarli. Il mago-pittore spiega la situazione al presunto stregone e gli chiede di accompagnare il ragazzo mentre lui ritornerà a Brixton attraverso un altro passaggio. I due si avviano velocemente e attraversano la zona di Cripplegate (“Persist of Cripplegate”), che è il punto dove il Dennis di nove anni aveva avuto una visione di Long London (ennesimo collegamento con il prologo). Passano per varie zone, tra cui Bunhill Fields, il cimitero dove si trovano, tra gli altri, i resti di Blake, John Bunyan (l’autore del Cammino del pellegrino) e Daniel Defoe, finché non arrivano a Stoke Newington, la parte di Londra protagonista del racconto “N” di Machen. Oltre a notare una persistente sfocatura ai lati esterni del campo visivo, ora Dennis riconosce uno dei gatti che aveva notato quando aveva visitato per la prima volta Spare: il felino, che si chiama Charming Peter, inizia a parlare e minaccia Dennis affermando che al momento giusto l’avrebbe ucciso, così come aveva fatto con il libraio già nominato diverse volte, perché il giovane aveva rovinato tutto. Poi spaventa profondamente Monolulu informandolo che in futuro avrà dei grossi problemi a causa della magia nera.
Si allontanano in fretta e arrivano a un edificio dove vedono una scala appoggiata vicino a una finestra. Monolulu fa segno a Dennis di salire e, quando arriva su, qualcuno lo afferra portandolo dentro: nella stanza ci sono Piede di Ferro e il commerciante di verdure che il ragazzo ricorda di avere già visto. Anche Monolulu stramazza nella stanza e a quel punto, dopo avere notato che attraverso la finestra si continua a vedere l’altro mondo, Dennis sviene. E su questo momento di apparente calma, il capitolo (come questo articolo) finisce.
Ha accumulato diversi sostantivi a cui può aggiungere il prefisso “ex” (fanzinaro, correttore di bozze, redattore, editore, letterista-impaginatore sotto pseudonimo, articolista…), mentre continua ancora, sporadicamente e per passione, a tradurre libri a fumetti.