Il mese scorso ti ho raccontato di come, almeno nei comics, i presidenti USA siano spesso dipinti come scemi, folli o criminali. Nel frattempo, alla Casa Bianca è arrivato come inquilino un volto già noto… Tranquillo, non t’annoierò con lo stesso argomento, né con pistolotti sulla fangosa ondata che avanza (mai fermata, in realtà). Semplicemente mi è sorta una riflessione, proprio mentre sfogliavo fumetti a caccia di apparizioni presidenziali. Quelle pagine erano fitte di altri elementi ricorrenti: congregazioni segrete, apparati nascosti, agenzie iper-tecnologicizzate che operano nell’ombra e decidono le sorti del pianeta in modo cinico e spregiudicato. Gruppi che CIA o Pentagono al confronto sembrano la municipalizzata del servizio rifiuti della tua città. Trame intricate, intrecci che, fra doppi giochi, repentini tradimenti e scelte moralmente discutibili, rendono le trame complesse e claustrofobiche. Diciamolo: spesso illeggibili o quantomeno incomprensibili. E alla fine il tema del mese lo centro pure stavolta.
Solo in casa Marvel non so quante ne conto, di queste organizzazioni. La più famosa è lo SHIELD, capeggiata da Nick Fury. Inizialmente segretissima e sotto controllo statunitense, negli anni è diventata palese pure per i sassi, è passata alla gestione ONU e poi tornata sotto l’ombrello USA, è stata infiltrata e corrotta più volte di quante io riesca a contare. Poi, a dimostrare che al peggio non c’è fine, ricordo l’HAMMER guidata da quel viscidone di Norman Osborn e lo SWORD che si occupava di minacce aliene. E questo fra “i buoni” (semplifico, che una distinzione in categorie morali la vedo dura). Se passi ai “cattivi” ricordo AIM, HYDRA e altre cosucce amene.
La cosiddetta guerra al terrore di George Bush ha poi dato nuova linfa alle organizzazioni segrete e segretissime pure nella narrazione supereroistica, e la presenza di superumani direttamente sotto il controllo governativo è diventata sempre più frequente. Sì, va bene, The Boys. Te ne abbiamo parlato il mese scorso, ma la serie TV mica spunta dal nulla. A volo d’uccello, e transitando in casa DC e WildStorm, ricordo Stormwatch e Authority, per tornare alla Marvel con Ultimates e Civil War. Una strisciante (e IMHO, chiaro) fascistizzazione della narrazione supereroistica USA di cui ti ho parlato qui e qui. In questo elenco, assolutamente generico e per nulla esaustivo, mi piace menzionare pure serie particolari e per certi versi minori come The Losers o Queen & Country, che però era riferita ai servizi inglesi e, mannaggia, è rimasta parzialmente inedita in Italia. A me piaceva, cazzarola…
Insomma, è innegabile che la fascinazione per le spy story abbia sempre investito pure i comics, che l’hanno poi declinata in mille modi diversi (mi guardo bene dal parlare delle incursioni nello stesso genere da parte del fumetto giapponese o francese, per non deragliare). E una narrazione fattasi sempre meno ingenua e più attenta alle tragedie del mondo ha reso il cocktail “servizi segreti and comics” più aspro. È significativo che un autore come Tom King sia noto per aver avuto un passato proprio alla CIA e su questa esperienza ha costruito alcuni successi. Figurati che dovette sottoporre proprio alla CIA le sceneggiature del suo The Sheriff of Babylon, affinché venisse accertato che non contenessero fatti o elementi non divulgabili.
Ora. Già sai che di me non si è mai detto «è uno che arriva subito al punto». E stavolta ho pure esagerato. Tutta la pappardella qua sopra era per dire che la vecchia ricerca sui Presidenti USA, con riscoperta a corollario delle varie congregazioni segrete, mi ha riportato in mano i vecchi volumi di Planetary, scritti da Warren Ellis e disegnati da John Cassaday fra il 1998 e il 2009 per la Wildstorm. La serie, a dire il vero, si può registrare sotto l’etichetta “segretissimi e affini” con qualche cautela (poi ti dico). La folgorazione che mi ha portato a scrivere è diversa. Oh, mi sono detto, ma davvero nessuno su (Quasi) ha parlato della morte, recente e precoce, di John Cassaday? Davvero tocca a me farlo? Va bene, ci sono.
Io mica l’ho conosciuto di persona. Guardo la foto e immagino un ragazzone texano che segue il baseball col berrettino della squadra per cui fa il tifo, cortese e di buon cuore. Le regole del gioco prova a spiegartele paziente, mentre beve birra alla spina. Comunque sia, ti dico, la sua morte (avvenuta il 9 settembre 2024 a seguito di una crisi cardiaca) mi ha rattristato. Ho letto un sacco di fumetti disegnati da lui. Astonishing X-Men, Captain America, I am a Legion, per dire. Mi sono piaciuti tutti, ma quello che più mi è rimasto impresso è stato il primo. E voglio parlarti di John Cassaday attraverso quello, mi sembra giusto. Planetary, dunque.
Eccoti il solito sunto della serie, doveroso quanto noiosetto. Ma io te lo propongo con l’accetta, pazienta solo un poco. Planetary è un’organizzazione segreta composta principalmente da Elijah Snow, anziano quanto arzillo avventuriero con poteri di criocinesi, la forzuta Jakita Wagner e il “tecnologico” Drummer. Gli avversari sono I Quattro (Randall Dowling, Kim Süskind, William Leather e Jacob Greene). La contrapposizione buoni/cattivi è presto detta. Dowling e C. sono quattro astronauti radicalmente trasformati da una spedizione cosmica… Sì, la citazione è palese, solo che nelle storie by Ellis/Cassaday sono quattro stronzi. E verranno sbattuti come tappeti da Snow e soci.
L’idea di base non è originalissima. Calare il mondo dei supereroi nella realtà dell’universo Wildstorm, adattandola e deformandola, attingendo a versioni alternative di personaggi Marvel, DC o della cultura pop. Ai già menzionati Fantastici Quattro si aggiungono Tarzan, Sherlock Holmes, Thor, Batman e via dicendo. Se ci pensi, il miscuglio pulp è un’idea già esplorata da Alan Moore e Dave Gibbons in Watchmen e ancora più simile a quella sviluppata ancora da Moore, stavolta con Kevin O’Neill ai disegni, ne La Lega degli Straordinari Gentlemen, dove venivano proposti personaggi provenienti da romanzi e cultura dell’ottocento, reinventati nella fantasia sfrenata di Moore. E di esempi, già sai, ce ne sarebbero molti altri. Insomma, pure Ellis si iscrive al club “revisionismo del supereroe”, giocando fra piani della realtà e fusione di questi con finzioni narrative. E le tavole di Cassaday, qui, sono un valore aggiunto e personalissimo in ogni interpretazione. Guarda che figata è il martello di Thor/non Thor…
… la grandiosità di questo Batman…
… o di questo “Tarzan”!
Ti dicevo prima che Planetary non è propriamente una serie “servizi segreti e segretissimi”. E non è neppure supereroistica. Certo, pure qui i protagonisti hanno superpoteri e si muovono al di fuori e al di sopra delle conoscenza dei comuni mortali. Però, seppure agendo nell’ombra, più che agenti segreti sono ricercatori, esploratori… Scienziati visionari, ecco. Archeologi dell’impossibile (meglio: del possibile sconosciuto ai più) che incontrano esseri ed eventi di cui probabilmente ti sembrerà di aver già sentito parlare, nella “storia occulta” del ventesimo secolo o nella fantascienza di Jules Verne.
Ma in Planetary ciò che (mi) sorprende è che le storie, in controtendenza con la narrazione cinica e disincantata propria del genere, seppur non essendo certo “ingenue” sono piene di sense of wonder, di speranza nell’umanità. Per carità, Ellis assomiglia un po’ al Grant Morrison di Invisibles, nel periodare e nella ricerca di un linguaggio criptico, ma la somiglianza finisce lì. E certo, lungo i 27 episodi (più tre speciali) trovi cattivoni e pestaggi e torture, ma Snow e i suoi soci sembrano toccati, nelle loro scoperte, dalla meraviglia dell’esistente, ben incarnata da una frase presente già nel primo episodio e che tornerà spesso lungo tutta la serie, con piccole modifiche, a ricordare la missione del gruppo. Il mondo è strano quanto meraviglioso: cerchiamo di mantenerlo così, di proteggerlo.
Ti ho spiegato prima come e perché ho riletto tutti gli episodi realizzati da Ellis/Cassaday. E li ho trovati, esattamente come la prima volta, affascinanti quanto incomprensibili. Per carità, il disegno d’insieme non mi sfugge, però sono densi di un gergo tecnologico/immaginifico/esoterico davvero indecifrabile. Cose del genere, insomma…
Ed ecco l’importanza del segno di Cassaday. Disegnatore non visionario e psichedelico come un Sienkiewicz, per dire, ma neppure iper-realista. Il segno dell’artista texano è un mix di realismo e, al tempo stesso, ricerca dell’effetto “Wow!”, spettacolare ma sempre nitido e leggibilissimo. Mica roba da tutti!
Cassaday si trova a lavorare su sceneggiature che si divertono a spaziare in contesti, stili, generi diversissimi fra loro. E lui cosa cosa fa? Sceglie di NON provare a seguire Ellis sullo stesso piano. Si sbizzarrisce sulle cover (dove, seguendo il variegato mondo dei contenuti proposti nei singoli episodi, l’approccio grafico e persino il logo cambiano ogni volta) mentre negli interni al massimo lavora su qualche dettaglio, lasciando intatta la coerenza della serie e cercando, soprattutto, di contribuire pure lui al “senso di meraviglia”.
E poi, oh: ammazza Galactus! Okay, non è proprio lui, ma va bene lo stesso…
Infine, se devo proprio scegliere una caratteristica del lavoro di Cassaday spendo una parola sui volti, davvero efficaci nel mostrare le diverse e mutevoli emozioni dei personaggi. Dacci un’occhiata!
Insomma, ho riletto Planetary. Senza capire tutto-tutto, ma trovando ancora il sense of wonder della prima volta. Temevo, confesso, quell’effetto «beh, lo ricordavo migliore!» che talvolta segna le riletture. E tutto questo, l’ho ammesso fin dal titolo, l’ho fatto solo perché credo sia il modo migliore per ricordare John Cassaday, autore che avrebbe potuto dare ancora tanto al fumetto. Credo sia un modo che gli farebbe piacere. Dopotutto, è proprio su di sé che lui modellò uno dei protagonisti della serie. Mi sembra bello ricordarlo mentre, giovane e sorridente, inventa The Drummer e lo immagina bere una bibita. In qualche universo alternativo, dopotutto, magari è proprio così.
Vive una crisi di mezza età da quando era adolescente. Ora è giustificato. Ha letto un bel po’ di fumetti, meno di quanto sembra e meno di quanto vorrebbe. Ne ha pure scritti diversi, da Piazza Fontana a John Belushi passando per Carlo Giuliani (tutti per BeccoGiallo) e altri brevi, specie per il settimanale “La Lettura”. Dice sempre che scrive perché è l’unica cosa che sa fare decentemente. Gli altri pensano sia una battuta, ma lui è serio quando lo dice.