I colori del burro

Francesca Di Carlo | Dulcis in fundo |

Prima di diventare una pasticciera, consideravo il burro un ingrediente poco interessante.
Probabilmente a causa di mia mamma che era fissata con la margarina. Diceva che la margarina faceva ingrassare meno del burro. Eppure era un’ottima cuoca, comprava regolarmente “La Cucina Italiana” ed era anche molto colta ma verso il burro non sentiva ragioni e in casa non è mai entrato.

Per essere sincera, penso che fosse un atteggiamento di sfida verso mia nonna, sua suocera. Quando la andavamo a trovare offriva a me e mia sorella pane, burro e zucchero mentre ai nostri cugini, figli del fratello maggiore di mio padre, comprava la Nutella e i biscotti del negozio. Sospetto che mia mamma pensasse che non eravamo abbastanza importanti e per questo ce l’aveva tanto con il burro. D’altra parte, erano gli anni Settanta e tutto ciò che era “comprato” sembrava migliore del cibo contadino.

E così per non far torto a nessuna, quando sono andata a vivere da sola compravo solo olio extravergine di oliva, con buona pace dei dolci che non preparavo dato che ero una fisica e non mi interessava cucinare.
Poi un giorno tutto è cambiato: sono entrata in libreria per acquistare un saggio e sono uscita con il libro Cuochi si diventa di Allan Bay.
Era l’autunno 2003 e per la prima volta un libro di cucina aveva catturato il mio interesse. Non per il contenuto, che avevo sfogliato velocemente senza capire una parola ma per la copertina che tutt’ora trovo bellissima con lo sfondo nero e lucido che risalta le immagini degli ortaggi (addirittura in rilievo) e il riquadro centrale giallo con le scritte d’oro.

La “dovizia dei colori del mondo” si potrebbe dire invocando l’esperimento cruciale di Newton del 1666, quando dimostrò che la luce del Sole è bianca ma dopo il passaggio attraverso un prisma trasparente esibisce i sette colori dell’arcobaleno: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto.

Che cosa sono i colori?

I colori sono le unità fondamentali della luce del Sole, fasci di luce omogenea che non possono essere divisi in altre componenti.

Per dirla con le parole di Einstein, tratte dal libro L’evoluzione della fisica del 1938: «non è possibile scomporre ulteriormente un simile fascio di colore unico».
È lo stesso concetto dell’oggetto puntiforme che non si può scomporre in un oggetto più piccolo, con la differenza che l’oggetto puntiforme possiede una massa, mentre i colori non la posseggono e sono costituiti da fasci di particelle dette fotoni. E non esistono fotoni rossi, verdi o blu. Tutti i fotoni sono uguali, quello che cambia è la quantità di energia (che si misura in eV=elettron-volt) trasportata dai singoli fasci.

Tuttavia, i colori dell’arcobaleno non sono solo fotoni ma anche onde elettromagnetiche. Si dice allora che la luce ha una duplice natura e si parla di dualismo onda-particella. E per connettere i due concetti si dice che il fotone è il mediatore della interazione elettromagnetica.
In ogni caso, che siano uniti nella luce bianca o che viaggino da soli, i colori si propagano a velocità costante: la famosa velocità della luce che si chiama c e si misura in metri/secondo:

c = 299.792.458 m/s

Secondo la legge:

c = λν

Dove λ è la lunghezza dell’onda associata a ogni colore (in nm=nanometri) e la ν la sua frequenza (in THz=TeraHertz). Questa legge è fondamentale perché descrive come, data una velocità costante, ogni cambio di frequenza deve esser incontrato da un cambio proporzionale di lunghezza.

«Tu, violetto che sei sempre a un margine dell’arcobaleno, come ti organizzi per mantenere c costante?”»
«Poco tempo e molto spazio.»
«Ok, allora hai una grande frequenza e una piccola lunghezza d’onda
«Tu rosso, che te ne stai all’altro margine dello spettro, come ti organizzi?»
«Lungo e lento.»
«Perfetto: grande λ e piccola ν.»
«Giallo e verde come siete messi?»
«Noi stiamo nel mezzo e siamo i colori meglio risolti dall’occhio umano.»
«Ah ecco perché mi ha tanto colpita la copertina di Cuochi si diventa, per via di quel riquadro giallo al centro!»
«Eh si, giallo come la margarina…»
«Uh, che bei ricordi!»

La torta di mele


Erano passati pochi giorni dall’acquisto del libro, quando ho deciso di preparare la “Torta di mele” di pagina 278.
Ovviamente, quando si parla di torte, il burro è sempre in agguato e, infatti, mentre scrivevo la lista degli ingredienti mi sono imbattuta in 100g del fantomatico grasso. Lì per lì ho pensato che lo potevo sostituire con l’olio extravergine di oliva ma poi mi è venuto il dubbio che non fosse proprio la stessa cosa, inoltre era la prima volta che preparavo una torta e ci tenevo a fare bella figura.
Arrivata al supermercato ho deciso di confrontare le etichette dei vari grassi, volevo proprio vedere se la margarina era cosi meglio del burro.
E infatti ho scoperto che burro e margarina hanno circa le stesse calorie e fanno ingrassare uguale, mentre l’olio extravergine di oliva ha più calorie di tutti perché è grasso al 100%. Inoltre, per colorare la margarina dello stesso colore del burro si usano i pigmenti. Oggi è il betacarotene ma al tempo ricordo una sigla non meglio identificata.

Da allora il burro è diventato il mio grasso preferito e la “Torta di mele” il ricordo migliore che ho di quegli anni. Mi rimaneva da capire cosa fossero i pigmenti.
Prima di spiegarlo vi lascio la fortunata ricetta:

«Per 6. Pulite 4 mele, tagliatele a fettine e lasciatele macerare nel succo ai 1 limone cosparse con poco zucchero per 30′. Sbattete 3 uova con 300 g di zucchero, 100 g di burro ammorbidito, 2 dl di latte, 300g di farina e 1 bustina di lievito per dolci. Imburrate uno stampo di 26 cm di diametro, versate il composto e aggiungete le mele facendole penetrare nella pasta. Spolverizzate di zucchero e cuocete in forno a 170°C per 40 minuti finché la torta risulterà gonfia e dorata.»

I pigmenti

I pigmenti sono molecole, o meglio cristalli come quelli utilizzati da Newton nel suo esperimento ma molto più piccoli e non trasparenti, che assorbono in modo selettivo certe unità della luce bianca e ne riflettono certe altre. Per esempio, il betacarotene assorbe il verde, il blu, l’indaco e il violetto e riflette il giallo, l’arancione e il rosso. Di conseguenza noi vediamo un panetto di colore giallo più o meno vivido a seconda di quanto pigmento è stato dosato ma non ne vediamo l’interno. In altro modo la margarina, che è a base di olio, sarebbe quasi trasparente.

Il colore del burro, invece, dipende dalla alimentazione della vacca. Se è giallognolo, deve avere mangiato molta erba, se bianco non è simbolo di cattiva qualità ma indica che il grasso non contiene pigmenti e riflette tutte le unità di luce, forse è un burro invernale e la mucca ha mangiato molto fieno.
Se il burro fosse nero sarebbe un corpo opaco che assorbe tutta la radiazione solare, oppure è al buio e non ha nulla da assorbire o riflettere.

Ma la caratteristica veramente interessante dei pigmenti è che sono liposolubili, cioè si sciolgono bene nei grassi e poco nell’acqua e per questo sono utilissimi in cucina.

Per esempio, per ottenere tagliatelle di un bel colore giallo si scioglie una punta di curcuma (il cui pigmento si chiama curcumina) nel tuorlo della pasta all’uovo, oppure per ottenere un bel risotto arancione si manteca con burro, zucca (caroteni vari) e zafferano (crocina).
Una idea raffinata è il burro “Maître d’hôtel” che aggiunge un dettaglio verde clorofilla alle carni o ai pesci troppo stopposi (come le bistecche o il tonno).

Ingredienti: 100g burro a temperatura ambiente, prezzemolo fresco tritato, il succo di mezzo limone e pepe bianco al mulinello.

Preparazione: Lavorare il burro a pomata con una spatola o una frusta, poi incorporare il prezzemolo appena tritato e subito dopo il succo di limone e il pepe. Arrotolare nella carta stagnola o nella carta forno, dare la forma di un cilindro e raffreddare. Con questa procedura il prezzemolo resta integro e non tinge di verde il burro.  Al contrario, se si desidera una preparazione verde con effetto olio di oliva, tritare tutto insieme.

A un certo punto della mia vita, quando ormai non ero più una fisica ma una pasticciera, mi sono trasferita a vivere nei Paesi Bassi. Non in Olanda che è dove ci sono Amsterdam e Rotterdam, ma nel cuore di questo paese dove tutti parlano il neerlandese e ogni frase, parola, suono è illeggibile, incomprensibile e impronunciabile.

A parte la torta di mele, la pasticceria non è molto divertente ma sono tollerati i dolci a base del così detto “Cannabutter”.

Scrivo a seguito qualche consiglio ottenuto da un pasticcere di queste parti, che prepara simpatici Muffin colorati con la crema al burro realizzata montando con le fruste elettriche una parte di burro, due parti di zucchero a velo, un cucchiaio di panna e il pigmento desiderato in gel.

Il Cannaburro

Il Cannabutter o Cannaburro è un ingrediente formato da due componenti: canna e burro.

Per quanto riguarda il burro si consiglia di utilizzare il burro chiarificato o il ghee, che non contiene acqua e altri residui solidi non grassi. Tuttavia si può usare anche il burro normale non salato, l’olio extravergine di oliva, di cocco, di avocado e anche margarina, dipende dai gusti e della preparazione che si vuole realizzare.

Il canna va pensato come un pigmento, un composto che si rende al meglio se infuso nel grasso dopo essere stato attivato con un trattamento termico.

Ingredienti

  • 400g del grasso prescelto
  • 8g canna (iniziare con questa quantità per valutare gli effetti)

Procedura

Prima di tutto il canna va decarbossilato.
Questa operazione serve ad attivarlo e consiste nel distribuirlo su una teglia coperta da carta forno e lasciarlo al caldo per un’ora a 115°C.

Se ci sono pezzi troppo grandi è meglio tritare il prodotto per ottenere un riscaldamento uniforme, ma attenzione a non tritarlo troppo perché perde l’aroma. Altrimenti tritarlo dopo la decarbossilazione.

Dopo che il canna è stato attivato e tritato, fondere il grasso prescelto sul fornello o al microonde e mescolare i due ingredienti. Poi passare all’infusione.

La procedura dipende dalla attrezzatura:
Se avete un roner (bagnomaria a temperatura controllata) e una macchina per il sottovuoto, mettere il composto in un sacchetto, sigillare estraendo parte dell’aria e inserire nel roner puntato a 82°C per 4 ore.
In altro caso, versare il cannaburro in un sacchetto o in un barattolo termoresistenti e che si chiudano bene e poi sbollire in acqua a circa 80°C per 4 ore.

Passato il tempo di cottura spegnere il roner o il fornello e lasciare raffreddare il sacchetto per 15 minuti. Poi aprire e versare il contenuto dentro un contenitore dotato di coperchio, filtrandolo con una garza inserita nel colino.

Una volta pronto, il cannaburro si conserva anche due mesi in frigorifero e si usa per preparare salse, dolcetti, biscotti, condire piatti e insalate o spennellare cavoli e  patate.

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