Paolo: Ciao Massimo, da quando esiste, (Quasi) dedica il numero di gennaio al riassunto dell’anno precedente. Di solito prepariamo questa lunga cronologia nella quale snoccioliamo gli eventi che ci sembrano più rilevanti senza disegnare traiettorie o identificare rapporti di causa-effetto. Un po’ come se volessimo che chi (non) legge questa rivista facesse lo sporco lavoro di narrazione cui siamo condannati in quanto umani. Poi, tutte le volte, dopo aver unito i puntini, sprofondiamo nello sconforto. Guerre, massacri, addirittura genocidi, disastri, catastrofi, elezioni, colpi di stato, incendi… E in mezzo, come se non stesse succedendo niente, dischi, romanzi, film, fumetti, giochi, collezioni, mostre…
Tu hai guardato il 2024 con un’attenzione speciale. Davvero non sta succedendo niente?
Massimo Giacon: Eh, magari! Quando ho iniziato il progetto “366” basato sul fatto che il 2024 fosse un anno bisestile, avrei tanto voluto essere smentito dai fatti, ma invece la mia sensazione che fosse un anno cruciale è stata confermata da molti avvenimenti. Certo, non abbiamo avuto un conflitto nucleare, altrimenti non saremmo qui a farci queste domande, ma abbiamo avuto la continuazione e la recrudescenza di due guerre, un ampliamento dei conflitti in una parte del medio oriente, delle elezioni europee che hanno sottolineato il senso di precarietà del nostro continente e una vittoria dei partiti delle destre peggiori, la vittoria di Trump che all’inizio del 2024 sembrava un politico finito, l’Intelligenza Artificiale in crescita in tutti i settori lavorativi, l’influenza mondiale di Elon Musk che era un personaggio su cui si poteva scherzare e ora non fa ridere più, la caduta di Assad e il cambio di potere in Siria, terremoti, inondazioni, cambiamento climatico ormai inarrestabile, insomma è quasi inutile fare l’elenco. Andando a ritroso nel mio sito mi accorgo che anche notizie che sembravano futili o di poca importanza contengono in nuce i germi di qualcosa di più grosso che è avvenuto mesi dopo. E in mezzo c’è il nostro piccolo mondo con Sanremo, Lucca, le nostre futili diatribe di settore.
Boris: Ciao Massimo, hai ragione, fare l’elenco dei macroavvenimenti evidenti a tutti non solo è inutile, ma rischia di mostrare il 2024 come un anno uguale a tutti gli altri. Le notizie interessanti sono invece quelle di cui dici, apparentemente senza importanza ma che hanno in sé i prodromi di cambiamenti epocali. Qual è la prima di cui ti sei accorto?
MG: In genere si tratta di notizie che sono relegate in coda alle news principali. Ne elenco tre a caso. L’annuncio di Sora, intelligenza artificiale che nasce come una “text to image” applicata al video, che inizialmente sembrava fantascienza, mentre ora ci ritroviamo il web inondato di filmati del cazzo generati in tempi brevissimi, con la possibilità di manipolare ulteriormente la realtà, oppure quando degli hacker iraniani hanno colpito la rete di navigatori satellitari di Israele, e a Tel Aviv se cercavi una strada il navigatore ti dirigeva in una zona della Siria, molti mesi prima della caduta di Assad, oppure la notizia che hanno trovato un modo per trasportare l’antimateria.
B: Le prime due che elenchi hanno già avuto, come dici, delle conseguenze fattuali sulla realtà che abitiamo. Quella del trasporto dell’antimateria per il momento è lì sospesa… ha affascinato anche me. Mi immagino un carrettino, tipo l’apecar con cui ti portano l’acqua a domicilio, carico di bottigliette piene di antimateria frizzante. Una notizia come questa apre mille possibilità narrative, certo, ma in che modo pensi influirà sulle nostre vite?
MG: Questo naturalmente non lo so, credo sia una notizia i cui effetti sono talmente proiettati nel futuro che le conseguenze non siano facilmente misurabili, soprattutto da noi mortali sprovvisti di reali conoscenze scientifiche sull’antimateria e sulle applicazioni della stessa nella vita di tutti i giorni nel prossimo futuro. Chiamiamola, come in generale il lavoro di “366”, una di quelle intuizioni “sciamaniche”. Ahahah.
P: La volontà di rimanere aderenti al racconto del mondo in divenire, un giorno alla volta, però mette in luce un paradosso. La gran parte delle notizie cui hai scelto di dare evidenza quotidiana (a me pare tutte, ma magari sbaglio) viene dalla lettura dei quotidiani o dall’ascolto dei notiziari del mattino (o del giorno prima). Questo porta a raccontare il mondo come viene fotografato dalle agenzie di stampa (e da Reuters in particolare) perdendo tutto ciò che resta fuori da quella inquadratura e che riusciamo a intercettare solo trovando approfondimenti, reportage o dossier. Mi pare che le guerre civili, i colpi di stato e le catastrofi in posti in cui gli europei non vanno in vacanza siano, da sempre, poco notiziabili. Come hai vissuto questo paradosso?
MG: La prima cosa che salta all’occhio è la quasi totale indifferenza da parte dei principali quotidiani e televisioni occidentali riguardo a quanto accade in alcuni continenti, come l’Africa, continenti invece cruciali sia per le risorse che contengono, sia perchè il nostro futuro è anche all’interno di conflitti e decisioni politico-economiche che vengono prese lì. La mia intenzione era quella di disegnare la prima notizia che saltava all’occhio di un qualsiasi utente che viveva in questo emisfero. Ogni tanto riuscivo a scavare di più, ma da subito mi sono accorto che la presunzione di realizzare un’opera che fosse la cronaca di TUTTO era davvero un’ipotesi destinata al fallimento, per cui sono andato avanti random, facendomi trascinare dal flusso, senza pensare che le mie scelte potessero effettivamente esprimere un giudizio o una riflessione approfondita sui fatti. In effetti non ho quasi mai espresso un’opinione personale. I testi al 90%, anche quelli più assurdi, sono proprio quelli riportati dalle agenzie, la parte critica ed emotiva era data da come queste notizie venivano disegnate.
B: E senti, quanto ha influito la maggiore o minore disegnabilità nella tua scelta quotidiana della notizia? Cioè, sceglievi la notizia in base all’ispirazione grafica che ti forniva, o prima di sceglierla avevi la mente sgombra da ogni idea grafica su come realizzarla?
MG: Molto spesso avevo la mente completamente vuota. Alcuni giorni non sapevo proprio cosa disegnare, ci sono stati anche quelli in cui sembrava effettivamente che non ci fosse niente da disegnare, oppure troppo. Alla mattina scorrevo febbrilmente le news, dai quotidiani ai siti stranieri. A volte mi mettevo in pausa e riprendevo la ricerca verso mezzogiorno, finché qualcosa non scattava. A volte c’erano le notizie “di riserva” quelle che anche se non erano fresche di giornata andavano comunque bene perché se ne sarebbe parlato per giorni, oppure erano così futili da essere ininfluenti, per cui allo stesso tempo universali. Ho cercato di non mettere troppe notizie italiane, se non quando potevano essere interessanti in un contesto globale.
P: Parliamo ancora di disegno. Hai dovuto trovare una notizia quotidiana, proprio come un autore satirico, però hai deciso di riportare la notizia senza interpretazioni e posizionamenti. Quando hai dovuto contrapporle un’immagine, hai trovato modo di esprimere la tua posizione ideale?
MG: Questo è inevitabile. Penso che il mio modo di approcciarmi alla tragedia palestinese, alle guerre, alle elezioni, non poteva essere “neutro”, anche se mi fossi sforzato, dopotutto nemmeno le notizie, anche quelle più asettiche, lo sono mai. Rispetto a un autore satirico, ero in un certo senso, più “libero”. Libero di non ricercare per forza la battuta, libero di trovare ogni volta un modo di disegnare differente. Ci sono ogni tanto dei cicli, dovuti anche alla noia, per cui hai dei disegni non descrittivi, in cui ci sono solo persone che stanno guardando le notizie da un cellulare con aria preoccupata, particolari visti al microscopio, disegni fatti in silhouette, momenti personali che si incrociano alle notizie, come la morte di persone care, o di un musicista sconosciuto alla massa, o quando ci è entrata l’acqua in casa in una delle prime bombe d’acqua dell’anno. È stato un anno in cui tra l’altro non ho dovuto render conto a nessun editore, a nessun committente. I due galleristi mi hanno lasciato completa libertà, non avevo né lacci né divieti. Quando ho fatto vedere uno dei miei blocchi da disegno agli editor del Sole24 ore, con cui ho fatto Ettore, mi hanno detto: «Noi non avremmo potuto mai pubblicare una cosa del genere». Ho risposto: «Perché? Guarda che non ho inventato proprio nulla!»
B: E a questa tua osservazione cosa hanno obiettato?
MG: Niente. Hanno detto: «Beh si, in effetti c’è il diritto di cronaca». Che poi molte notizie, riportate il giorno stesso, giorni dopo apparivano inesatte. Per cui mi toccava dare ragione a molti complottisti: i giornali mentono, oppure, semplicemente, non informano bene e l’ansia di stare sul pezzo porta a non controllare le notizie accuratamente.
P: E tu come hai gestito l’ansia di stare sul pezzo? Ci sono in “366” dei personaggi ricorrenti che hai dovuto presentare in una versione che fosse al contempo riconoscibile e tua. Un po’ come fa chiunque si occupi di satira. A me la satira non piace perché nella quasi totalità dei casi (due eccezioni: Altan e Vincino) produce degli indignati a comando. Persone costrette a compulsare le notizie alla ricerca di fatti che scatenino indignazione e ripulsa e consentano un furore sarcastico. Quest’anno ci sono stati un sacco di ottimi motivi per indignarsi. Quando succede, noi, bravi innocui coglioni, imprechiamo e commentiamo con gli amici e – a meno di fare satira – nessuno sente di indossare i panni del buffone di corte (la definizione è di Feiffer). Come ti sei sentiti nei panni del satiro?
MG: Non so se quella che ho fatto è satira. Diciamo che probabilmente è anche satira, ma è qualcosa di non definibile, perché non ci sono personaggi che dicono cose ridicole o argute, non ci sono quasi mai battute “mute”, però i personaggi sono caricaturali, lo sono anche perché la velocità dell’esecuzione richiesta necessitava di una riconoscibilità veloce, fatta con pochi tratti. Però questo lavoro è anche performance art fatta sul corpo del disegnatore, che deve fare questa cosa ogni giorno, in qualsiasi condizione di salute e di umore, sia che sia in viaggio sia che sia in casa, sia che stia in un remoto posto della terra. Ed è anche graphic novel, perché alla fine si crea un percorso e un racconto, con il suo sviluppo, i colpi di scena e infine con i personaggi principali e ricorrenti. Non a caso verso la fine ho fatto sì che i personaggi principali si presentassero al pubblico, come in un macabro teatrino. Non ci sono buoni o cattivi, perché sono/siamo tutti cattivi. Eppure, nonostante ciò, è ancora un pianeta meraviglioso popolato di persone e cose che amo.
B: Mi piace l’idea di questo fil rouge che tiene insieme i 366 giorni, formato da personaggi principali e ricorrenti. Tutti cattivi, vero. Non ho mai capito quello slogan: restiamo umani. La crudeltà è ciò che caratterizza l’essere umano, dovremmo al limite diventare disumani per migliorare il mondo. Ma vabbè: questi personaggi ricorrenti sono tutti cattivi, come noi, però ce ne saranno alcuni che ti ha creato maggior disagio dover disegnare e altri che ti hanno divertito di più. Quali?
MG: Il primo che mi viene in mente l’ho già citato, ed è Elon Musk. Ho potuto constatare con crescente sgomento la sua trasformazione da miliardario eccentrico a mostro. Non so se è perché lo descrivono così i media, ma credo che ci troviamo di fronte a uno psicopatico, ma in realtà mi sembrano tutti degli psicopatici, lui, Trump, Putin, Netanyahu, Zelensky. In un mondo in cui non sono le decisioni razionali a governare, ma un eccesso di egomania e di mancanza totale di empatia. Decisioni dettate dal Risiko. Chiaro che l’informazione tende a personalizzare tutto, è lecito pensare che queste persone non siano sole, ma la narrazione corrente li dipinge come dei cattivi da fumetto, peccato che il nostro mondo non abbia al momento nessun eroe da contrapporre. Siamo nell’universo di The Boys, dove nessuno è innocente. Un mondo senza speranza. In effetti a scorrere i 366 giorni non sembra sia accaduto nulla di buono, ma forse la notizia buona è che, nonostante tutto, il mondo riesce ancora a stare in piedi, e riusciamo ancora ad amare, a scriverci, a essere felici anche per delle stupidaggini.
P: Spostiamo infine l’attenzione sul progetto. Dici che è un po’ diario, un po’ libro illustrato, un po’ cronaca e un po’, perfino, graphic novel. È anche un sito. È stato un blog aggiornato quotidianamente. È una performance quotidiana, un libro d’artista, una serie di originali in vendita. Per chiudere questa chiacchiera, ci spieghi come ha funzionato 366, che ruolo hanno avuto le due gallerie e cosa deve fare chi volesse averne un pezzetto?
MG: Per prima cosa questo è un vecchissimo progetto. Inizialmente doveva chiamarsi “Famiglia Allargata”, e partiva dal fatto che mi rendevo conto che alla fine noi eravamo molto più in confidenza con le presenze dell’etere televisivo o dei gossip che con i nostri parenti. In effetti ne sappiamo di più su Belen che su un fratello o sorella che non vediamo quasi mai, figuriamoci uno zio o un cugino. Le presenze televisive sono parte della nostra famiglia, e allo stesso tempo sono i nostri Lari, presenze familiari, quasi protettive e propiziatorie. Poi il progetto si è allargato a ciò che vedevamo ogni giorno, e quindi sul nostro rapporto con le news, finché non è diventato l’idea di una capsula temporale disegnata. Avevo presentato il progetto a un paio di editori, ma mi hanno rimbalzato, dicendomi che, per i lettori, leggere e vedere la cronaca di quello che era accaduto l’anno prima, un anno dopo, rischiava di essere poco interessante. Allora mi sono rivolto a una galleria d’arte con cui avevo buoni rapporti, quella di Giampaolo Abbondio. A Giampaolo l’idea piacque, tanto da rilanciare dicendo che sarebbe stato bello farlo nel 2024, visto che era un anno bisestile, e così è stato. Al progetto si è aggiunta la Galleria di Antonio Colombo, anche perché avevo bisogno di più fondi, sia prosaicamente per sostenere fisicamente me, che dovevo fare un disegno al giorno occupandomi quasi totalmente di questo, sia per stampare il libro, una spesa piuttosto ingente, dato il numero di pagine, sia per promuovere il lavoro. Per cui il loro ruolo è stato importante e fondamentale per la mia sopravvivenza, cosa che non sarebbe accaduta con un editore italiano di nessun tipo. Proprio oggi ho portato il libro dallo stampatore. Il libro viene stampato in 366 copie. Ogni copia costa €366, perché ogni copia contiene uno dei 366 originali disegnati nel 2024. Non è prevista una mostra, perché il libro, insieme al sito, è, a tutti gli effetti, l’opera. Le 366 immagini si possono vedere completamente free sul sito www.massimogiacon366.com.
Avere il libro+originale è molto semplice: un compratore sceglie l’immagine che vorrebbe acquistare, controllando che non sia già stata opzionata da qualcuno (le immagini già opzionate hanno un bollino rosso), poi scrive a me o a una delle due gallerie per prenotarsi:
Una volta che avremo il libro pronto contatteremo chi ha opzionato l’immagine, chiediamo il bonifico e spediamo il libro a chi ha pagato.
In teoria dovrebbe essere semplice.
A inizio febbraio il libro sarà in visione presso la Galleria di Giampaolo Abbondio durante “Arte Fiera” a Bologna.
A metà febbraio (il 13 o il 15), faremo un evento a Milano in Galleria Antonio Colombo, in Via Solferino 44.
E questo è tutto.