Cinquanta sfumature di noia

Paolo Interdonato | post-it |

Alla fine dell’anno, Spotify ti presenta il conto. All’improvviso, compare quel banner, “Wrapped 2024”. Tu cerchi d’ignorarlo, ma lui si infila dappertutto. E alla fine cedi. È inevitabile.
Ci picchietti sopra il polpastrello e aspetti che la app che hai usato per tutto l’anno ti dia un’immagine dei tuoi ascolti che ti somigli.
Non so com’è andata a te… a me ha riservato più di una sorpresa.
Indifferente a tutto quello che ho voluto ascoltare con consapevolezza e dedizione, riservando tutta l’attenzione di cui sono capace, Spotify si è concentrato su tutto quello che mi ha fatto compagnia nei momenti di noia: mentre lavoravo, in auto, mentre cucinavo, passavo l’aspirapolvere, viaggiavo in treno, aspettavo il mio turno e, poi, di notte quando le cuffiette cadevano sul cuscino e lui continuava a suonare in un mondo in cui non c’ero più, mentre cadeva dolce la pioggia.

Un tempo, qui su (Quasi), facevamo una playlist settimanale. Avevamo rubato una frase a Emma Goldman e avevamo intitolata quella rubrica “If I can’t dance, it’s not my revolution”. La compilazione di quell’articolo settimanale metteva in evidenza gli ascolti schizoidi della nostra redazione. Un sacco di gente, un sacco di gusti. Spotify, senza pietà, mi mette di fronte alla incomprensibilità dei miei. Gli ascolti schizoidi di un uomo solo.
Nel 2024 a svettare tra i miei ascolti non ci sono i miei cantautori noiosi, il mio afrobeat, il mio Tom Waits, i miei ritmi in levare… No, dannazione! Mentre me li snocciola nelle orecchie mi sembra di essere finito in un episodio di Ai confini della realtà in cui ascoltare le proprie playlist è solo un altro modo per capire che “io è un altro”. Davvero ascolto così tanto rap? E cos’è tutto questo pop? E tutte questa gente emersa durante i talent show?

Alla fine, capisco che è la noia che ha preso il sopravvento. E alla noia bisogna voler bene, perché anche quando non abbiamo niente, lei è lì e ci accarezza e ci accompagna. La noia aborre il vuoto: riempie tutto, quando non hai più niente; non ti lascia mai da solo. E mica ha sempre la stessa forma.
Deve essere stata la noia a farmi ascoltare moltissimo Anna Castiglia. È bravissima, ma si muove a una distanza siderale da tutto ciò che credo di amare. L’ho scoperta sentendo la canzone Ghali. La conosci?

Il videoclip, che ho scoperto ora per fartela sentire, racconta una trasformazione di paradigma. Sembra quasi che siamo di fronte a una cantante che ha la consapevolezza che i suoi ascolti non passeranno da contenitori per boomer come MTV, VideoMusic o DeeJay Television. Lo ha voluto verticale, a misura di cellulare (o di tablet). Evviva!
A me Castiglia piace molto. È poco più grande di mia figlia Chiara e, proprio come lei, mi racconta storie con cui devo fare i conti. Dopo aver sentito questo brano, mi sono lasciato trasportare dalla pseudocasualità dell’algoritmo e ne ho sentiti altri, altre musiciste, altri suoni.
Funziona così. Continuo a fare quello che stavo facendo, il cellulare appiccicato via Bluetooth allo stereo, la musica nell’aria.
Sono, da trentasei lunghissimi anni, asservito a un lavoro salariato che divora molte ore della mia giornata. A volte riesco a farmelo piacere. Nella maggior parte dei casi (e del tempo) devo continuare a ripetermi che quello stipendio mi è necessario per pagare assegni di mantenimento, scarpe, formaggio e qualche vizio. Lavoro, anche molto, avvolto nel sudario della noia.
Abbiamo spesso un’idea di noia romantica. Un dolce far niente durante il quale sbuffi, ti rigiri e, alla fine, diventi addirittura creativo.
Ci sono tante, tantissime, forme di noia. Quella che mi assale più spesso è difficile da spiegare. Un groppo di disperazione per tutto ciò che non posso fare, mentre sono costretto a lavorare. Un fastidio inaudito per la presenza delle altre persone intorno a me. Un procedere automatizzato verso il conseguimento di obiettivi verso cui non muovo alcun coinvolgimento emotivo. La terribile sensazione che tutto questo tempo sia andato irrimediabilmente perso.
Lasciatemi in pace!

A un certo punto, mentre cerco il verbo giusto per dire questo annoiarmi, Anna Castiglia mi regala una perla.

Ecco. Ju mi siddrio. È quella noia lì. Una noia causata da agenti esterni e doveri. Quel desiderio frustrato di non aver obblighi. Quella voglia pazza di rimanere da solo, di potersi annoiare in un modo diverso.
Una perturbazione duale che mi costringe a oscillare tra il bisogno di non avere nessuno in mezzo ai coglioni e la disperazione della solitudine.

Ju mi siddriu.

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(Quasi)