Forse non lo sai ma pure questo è POP!

Paolo Interdonato | Pantomime del Calisota |

Sono un vecchio arnese, un residuato del Ventesimo secolo. Per me il POP! è un’accozzaglia di messaggi mainstream che popolano l’immaginario condiviso da una società. Una sorta di supermercato delle narrazioni, necessariamente accessibili, comprensibili e consolatorie, in cui ci sono funzioni narrative codificate, regole compositive normate e accettate, prosecuzioni, rinarrazioni decontestualizzate e serialità. Il POP! è un sistema che, nella mia intuizione novecentesca, si compone di cinema, televisione, canzoni, sport, giochi, ammennicoli tecnologici, perfino fumetti.
Ma se l’immaginario POP! deve essere condiviso da una società, per capirlo bisogna essere al passo con i tempi. Certo, l’Italia è un paese a crescita demografica negativa, ma, nel mondo, i nati sono decisamente più dei morti: questo significa che l’età media si abbassa.

L’enciclopedia Treccani dà questa definizione di “pop”:

«Abbreviazione del termine inglese popular (“popolare”), con cui sono state qualificate produzioni e manifestazioni artistiche di vario tipo che hanno avuto diffusione di massa nella seconda metà del Novecento.»

Un POP! esplicitamente novecentesco, destinato a vecchi arnesi, non può certo bastarci. Per capire il POP! bisogna stare attenti ai canali, le tecnologie, i metodi e i formati nati nel terzo millennio.

Allora emergono due correnti di fenomeni che hanno a che fare con la forma del mondo che pesto oggi. Però, siccome indosso scarpe da quasi anziano, tendo a ignorarle. È giunto il momento di cambiare calzatura.

Il POP! delle Cose Molto Cattive

I cattivi, nel POP!, ci sono sempre stati. A volte, li abbiamo amati più di quanto amassimo i buoni, certo, ma sapevamo che erano malvagi e perfino Darth Vader, alla fine, si redime.
Non so come sia iniziata, forse con i faccioni di personaggi indifendibili che tappezzavano le città esigendo il tuo voto, ma, a un certo punto, abbiamo visto fenomeni evidentemente malvagi diventare POP! ed essere accettati tacitamente più o meno da tutti. Ecco un elenco sommario e parziale che, un po’ per celia un po’ per non morire, non quantifico in termini di impatto sociale e volumi di distribuzione sul globo.

Armi da fuoco e cultura armiera: Il feticismo delle armi è un tratto culturale popolare e diffuso. A una mitografia fatta di cowboy, action hero, videogiochi, canzoni rap o country e propaganda politica, si è affiancata una realtà materica di tipi con il ferro o la lama in tasca, di club in cui ti spiegano come tenere in ordine la pistola, di associazioni di persone che si sentono autorizzate ad andare in giro con un’arma da fuoco anche in ospedale, di pubblico che «Beh… ha fatto bene a sparare: lo stavano derubando!»

Il complottismo: teorie della cospirazione e del «non ce lo dicono», sempre più diffuse, che vanno dagli alieni alle scie chimiche, dai magneti nei vaccini a QAnon. Un gigantesco storytelling partecipativo che, invece di crescere nelle stanze buie del complotto, si sviluppa nei luoghi più luminosi dei social network. Una distesa di cattivi invisibili benché sotto gli occhi di tutti (“Loro”, come nei racconti di Jack Finney, con gli ultracorpi che si sostituiscono agli umani) e buoni che, puntuali e infaticabili, si schierano a difesa del mondo, commentando ogni singolo post in rete.

Pseudoscienza e new age: Un’onda di superstizioni che parte da lontano, con ciarlatani e astrologi, e, ogni volta che si infrange sulla risacca, invece di lasciarci la gioia del riflusso, torna sempre più alta, più nera e più appiccicosa, con pratiche pseudo mediche, filosofie di pongo, consapevolezza e mindfulness.

Le criptovalute e il culto di Bitcoin: con simboli, meme, terminologia misterica (da «hodl» a «to the moon»), figure messianiche (da Satoshi Nakamoto a Elon Musk). Una sottocultura POP! vestita da rivoluzione finanziaria.

La politica-spettacolo e l’estremismo politico mimetico: Trump, Berlusconi, Bolsonaro e i loro emuli hanno trasformato la politica in show business. Meme, frasi a effetto ripetibili in ogni occasione, performance. Uomini di spettacolo bravissimi che, invece di riempire cinema e teatri, hanno prodotto uno spostamento radicale a destra, con dichiarazioni politiche fatte in occasioni sociali e non nelle sedi istituzionali. Individui pericolosi che abbracciano ogni sorta di fascisteria col sorriso, con ritmo della battuta da attore consumato e usando i medesimi meccanismi comunicativi della cultura POP!

Se guardi bene, tutti questi sono fenomeni POP! non solo per la loro diffusione, pervasiva e pervicace, ma anche perché usano le strategie di quella cultura: definizione di un’estetica e di un linguaggio, storytelling efficace, viralità digitale, community molto appassionate e, quando messe in discussione, molto violente.

 Il Pop Invisibile

Dall’altro lato, ci sono cose bellissime, normali o di nicchia che diventano POP! senza essere percepite come tali. Fenomeni che crescono all’interno di segmenti specifici e poi si diffondono senza passare per le tradizionali etichette. Non sempre li riconosciamo come POP! perché si muovono sotto la soglia della nostra attenzione e non producono manufatti estetici che navigano nei canali tradizionali ai quali ci abbeveriamo.

Microcommunity su Discord o Telegram: Luoghi di aggregazione in cui si sviluppano linguaggi, riferimenti e sottoculture che poi permeano altri media senza essere immediatamente riconoscibili. Ci sono stanze dedicate a specifici sottogeneri musicali, a tendenze letterarie, a kink puntuali e ci sono server in cui si gioca di ruolo con bot IA. In questi luoghi, facilmente accessibili se solo si sa come arrivarci (e tipicamente bisogna avere meno di vent’anni), si creano lingo e slang, meme e leggende interne. Un mondo così articolato, appassionante e leggendario che Terra di Mezzo scansate proprio.

App di dating ultrasegmentate e iperspecializzate: Piattaforme che non sono mainstream come “Tinder”, ma che per certe comunità sono vitali. Luoghi d’incontro virtuale per orientamenti sessuali, stili di vita, desideri, nicchie culturali. Gli esempi più evidenti sono “Grindr” per gli uomini gay, “Feeld” per le relazioni non monogame, “Raya” per i VIP. Ma ce ne sono tantissime: profilabili per orientamento sessuale e identità di genere come: Scruff, Jack’d, Hornet, HER, Fem, Taimi…; per relazioni non monogame e kink, come PolyFinda, FetLife, KinkD, Whiplr, Seeking, Sudy, SugarBook…; per orientamento religioso o stile di vita, come Christian Mingle, Crosspaths, JSwipe, JDate, Muzmatch, Salams, Hawaya, Veggly…; per gusti culturali, come Kippo, Dragonfruit, Tastebuds, Altscene, Gothic Match…
Ognuna è un microcosmo POP!.

Il boom dei Webtoon: Il fumetto serializzato su mobile ha creato un nuovo pubblico di lettori, con dinamiche simili a quelle delle serie TV e una comunità globale che vive di fanfiction, shipping e meme.

TikTok come trendsetter: Gli audio virali che diventano citazioni ricorrenti, le sfide deliranti e pericolose, il modo in cui viene rielaborata la nostalgia (pensa al revival della peggior musica degli anni Ottanta per un pubblico che non era nemmeno nato).

E poi: le estetiche internet driven, come il vaporwave, il cottagecore, il dark academia, che partono come nicchie e diventano codici estetici riconosciuti; le lingue nate online, come il linguaggio di Twitch, le abbreviazioni e i modi di dire che si sviluppano su TikTok e Reddit e ridefiniscono il modo in cui si comunica; la gamificazione della scoperta della cultura, con le classifiche e i badge sulle app di cinema, di musica e di letteratura; l’uso di ChatGPT per conversare con i personaggi della serie preferita; Midjourney come generatore di estetiche da subculture…

Un POP! ipersegmentato, ma non per questo meno di massa, fluido, in continua ridefinizione, con microfenomeni che esplodono in nicchie e poi, a volte, tracimano nel mainstream.
Le comunità che usano integralmente una tecnologia – e ci costruiscono sopra un linguaggio, rituali e identità – sono la versione contemporanea delle culture di massa novecentesche. Solo che invece di un pubblico indistinto, hanno confini precisi, definiti dall’algoritmo, eppure mutevoli.

Il POP! non è più un supermercato con gli scaffali ordinati, pronti per essere saccheggiati da chiunque. È un ecosistema in espansione, nel quale ogni cosa può diventare rilevante per qualcuno e irrilevante per tutti gli altri. Un sistema che non costruisce più miti collettivi, ma moltiplica gli specchi in cui riflettersi.

Eppure, proprio ora, in qualche angolo del mondo, ci sono migliaia di ragazze e ragazzi che si chiudono in stanze Discord e discutono, da un capo all’altro del pianeta, di come salvare o distruggere l’umanità. E, mentre lo fanno, si scambiano ascolti localissimi e incomprensibili, e proprio così li rendono globali. Un po’ come succedeva negli anni della nostra infanzia da vecchi arnesi, quando due amici restavano in cortile fino all’ultimo minuto prima di cena per raccontarsi il fumetto di supereroi, il film di fantascienza o il videogioco della sera prima.

È lì, in quella vitalità frammentata e imprevedibile, che il POP! continua a esistere. Non nel complottismo, nella cultura delle armi, nelle criptovalute, nelle dirette globali in cui dittatori, eletti democraticamente e con troppo potere sulle nostre vite, dicono porcherie inaccettabili. Il POP! esiste in ogni conversazione minuscola che accende una scintilla.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)