La presentazione della nuova squadra femminile della Roma avviene sulla scalinata di Piazza di Spagna.
Ogni giocatrice viene presa per mano da un giocatore della Roma maschile il quale, ai piedi delle scale, si defila per lasciare le ragazze a formare la rosa della stagione 2018/19. Attaccante con attaccante, centrocampista con centrocampista, portiere con portiere fino all’apice, al momento che tutte le ragazze che giocano a calcio nella squadra che tifano vorrebbero provare, essere presa per mano dal Capitano.
Daniele De Rossi, Capitano della Roma nella stagione successiva dopo l’addio struggente e sofferto di Francesco Totti, sorride, sinceramente orgoglioso e tende la mano a Elisa Bartoli, comprensibilmente emozionatissima. Scendono insieme a formare la squadra definitiva femminile.
La Roma di James Pallotta nel 2011, quando l’avventura della cordata americana inizia, è ancora la Roma dei miei ricordi di bambina: una squadra sanguigna, romanesca, de core; nulla a che vedere, per esempio, con il processo intrapreso da Andrea Agnelli con la Juventus, raccolta dalla Serie B dopo Calciopoli, smantellata della gestione precedente del cugino Elkan e ricostruita con un progetto a lungo termine che parte dal primo scudetto (degli otto consecutivi) del 2011/12.
James Pallotta ha il merito di concepire la squadra come un’azienda per cui porta gente capace e anche storica, come Mia Hamm, la Carolina Morace americana (l’unica, prima di Morgan e Rapinoe, che venne scelta come protagonista di uno spot Nike con Michael Jordan, IL Michael Jordan dell’epoca Chicago Bulls per capirci).
È una Roma bellissima, nel tempo diventa una squadra forte forte, il cui unico problema è avere una Juventus davanti cinica, spietata e terribilmente vincente. Lo stesso Daniele De Rossi dirà di quegli anni, tra il 2013 e il 2017, quando la Roma ondeggia tra secondi e terzi posti in classifica, che quella Roma era fortissima, a un livello difficilmente visto negli anni passati, ma con una Juve così ha fatto quello che poteva.
Come primo anno ufficiale la neonata Roma Femminile annuncia come allenatrice Elisabetta Bavagnoli chiamata comunemente Betty.
Quando, tra gli anni ‘80 e ’90, il “Guerin Sportivo” era il “Guerin Sportivo” e tra le sue pagine c’era da perdersi tra i vari sport gongolando di statistiche, storie e risultati di pallavolo, basket, ciclismo, tennis arrivando perfino al tiro con l’arco, quella rivista aveva anche la rubrica Calcio Donne. Nell’onnipotenza berlusconiana del distinguersi ed essere il primo a fare cose di successo, Berlusconi o chi per lui decise che la sua Mediolanum doveva essere una specie di polisportiva, per cui creò la squadra femminile di calcio e la sezione rugby tra le altre. Quando si sfogliava il “ForzaMilan!” di quegli anni non era affatto strano vedere crossover tra calcio e rugby e Diego Dominguez con la maglia di Franco Baresi e Baresi con la casacca da rugby. Lo spazio dedicato alle donne vedeva foto di Morace e sì, proprio lei, Bavagnoli, in una formazione, come quella di rugby, che ha avuto annate davvero vincenti.
Ma il calcio femminile era quello che giocavo anche io, e Bavagnoli, come accadeva spesso, era principalmente difensore che quando serviva diventava centrocampista come me che attraversavo tutto il centrocampo finendo in una partita a fare addirittura il libero.
Bavagnoli fa parte di quella generazione di calciatrici che non hanno mai smesso di credere nel movimento femminile, quella generazione di calciatrici che in pochi ricordano e principalmente chi c’era (alzo la mano) o chi le vedeva in televisione (alzo la mano), giocatrici che di fatto hanno permesso che le giocatrici di oggi venissero chiamate Ragazze Mondiali. Per quanto nel mezzo ci sia un’altra generazione, quella perduta di Melania Gabbiadini, Patrizia Panico e Katia Serra, quasi disprezzata dai vertici del calcio, oggi Bavagnoli acquista il suo spazio e giustamente i frutti del suo lavoro.
La Roma Femminile del suo primo campionato della stagione 2018/19 vede in rosa diverse giocatrici acquisite dalla Res, tra cui il mio portiere preferito di questi anni Rosalia Pipitone (giocatrice di passione, quelle giocatrici di cui raccontare, a metà tra il calcio che ho vissuto io e questo nuovo, di sponsor, soldi e di Mondiali) e nuovi innesti come la Capitana Elisa Bartoli proveniente dall’esperienza della Fiorentina dei Della Valle, Federica Di Criscio difensore della Nazionale e del fu Brescia, le giovani Agnese Bonfantini e Annamaria Seturnini reduci rispettivamente dalle stagioni di gavetta nell’Inter Milano Womens e nella Pink Bari, e, come accadeva ai tempi dei primi stranieri nell’epoca della ricostruzione del campionato maschile post Calcioscommesse, qualche giocatrice straniera, notevole per il livello di quel femminile ma lontanissime dalle aliene dell’Olympique Lione o dalle americane, come la svizzera Vanessa Bernauer.
Il campionato non parte benissimo per le giallorosse. La Roma fatica, ma pare evidente che tutte le squadre devono trovare la loro dimensione, tranne la solita Juventus che compra in blocco allenatrice e giocatrici per cui basta qualche gara per avere le bianconere amiche e complici e trovarsi a memoria qualche tempo dopo. La Fiorentina Womens del primo anno è una gioia per gli occhi, sono affiatate e continuano negli anni successivi rafforzandosi, tanto che le prime partite con la Juventus vincono le viola ed evidenziano il tanto lavoro da fare per le bianconere.
Anche il Milan di Carolina Morace cerca la forma giusta e ci riesce, con un Milan squisito, costruito davvero bene pur essendo il Milan bislacco cinese. Quando si gioca il primo Milan – Roma è profondamente emozionante. Morace e Bavagnoli hanno condiviso tantissimo tra campo giocato e campo allenato per cui ritrovarsi in quel nuovo strano mondo con squadre femminili che puntano al professionismo quasi fa venire il capogiro da ubriacatura: in realtà sarà l’incontro tra due esperienze, ormai donne adulte che si ritrovano e sorridono delle tante avventure vissute insieme, con la felicità di chi ha davvero vissuto un’amicizia speciale e importante. Morace, nel suo studio, incornicerà la fotografia che le ritrae prima della partita, sorridenti e felici.
Pur con compagini già costruite nel tempo e nel sentimento come la Florentia, l’Orobica, il Mozzanica, il Valpo, il Pink Bari e il Tavagnacco, e pur con società nuove come Sassuolo e Verona appare evidente che le quattro regine del campionato sono Juventus, Fiorentina, Milan e Roma.
E finirà così, con queste quattro squadre a inseguirsi e a superarsi.
Ma la Roma di Betty Bavagnoli fin dalle prime partite che guardo ha un’anima che urla.
Se la Juventus aspira al modello invincibile del maschile, se il Milan sembra stare sui carboni ardenti di passaggi di proprietà instabili, se la Fiorentina andrà a smantellarsi, la Roma appare l’unica che ha quel progetto da “ciclo”, da costruzione. Tanto è vero che arrancando nelle prime partite alla distanza trova un suo gioco (il Tre Fontane, lo stadio semplice con gli spalti in cemento va pian piano riempiendosi di pubblico ogni domenica), trova la forma delle giocatrici migliori (Bernauer farà cosine succulente), trova l’anima e il cuore che fa di Roma Roma.
La squadra inizia a capire la filosofia di gioco di Bavagnoli che spesso parte da un 4-4-2 per però modificarlo a seconda delle giocatrici: pressing alto e molta corsa, con movimenti col tempo a memoria e verticalizzazioni rapide quando non sono cross in area. Aspetto, quello atletico, non scontato nel calcio di oggi: c’è molta più attenzione rispetto al passato a una conduzione sana dell* sportiv*, dalla dieta alla palestra, dalla tattica al semplice allenamento da campo.
Al terzo anno di campionato, con quello del 2019/20 straziato dalla sospensione dell’emergenza sanitaria per la pandemia di Covid-19, la Roma femminile è ancora una squadra in divenire.
Anche oggi che finisco di guardare la partita delle 12,30, erroneamente definita big match per precedenti storici maschili, Roma Femminile – Inter Milano Womens, è la Roma che spreca, è la Roma che dovrebbe avere più mordente ed è la Roma che con gli innesti dello scorso anno della brasiliana Andressa Alves da Silva (campionessa, semplicemente), di Andrine Hedergerg (sorella della più famosa Ada dell’OL) e di Manuela Giugliano (faro del centrocampo) sembrava avviata a un blocco coriaceo e definitivo.
Non so molte cose, ma so che la mano e la mente, il cuore e il sentimento della bellissima Roma di Betty Bavagnoli intravista in quel primo anno, tornerà, tornerà con personalità, tornerà con gioco e core.
Core de Roma ovviamente.
Rimini 1975, disegnatrice di fumetti, fumettara, illustratrice. Pubblica dal 1999. Qualche titolo: la fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, le graphic novel Io e te su Naboo e Cinquecento milioni di stelle, il fumetto sociale Dalla parte giusta della storia, il reportage a fumetti scritto dalla giornalista Elena Basso Cile. Da Allende alla nuova Costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?.