Le domeniche dei milanesi (quelli che avevano i soldi per il biglietto)

Boris Battaglia | Crocevia di libertà |

Non è un caso se ci siamo dati appuntamento qui, in questa piazza che porta il nome dell’irredentista triestino che attentò alla vita di Ceccobeppe: Guglielmo Oberdan. Ma il motivo non è quello che ti immagini. Se ogni azione volta contro re e imperatori mi smuove una profonda emozione, l’idea che spinse Oberdan non è la mia, e nemmeno la tua (spero): schifiamo i nazionalismi di ogni natura, no?
Il motivo è che sotto questa piazza, a cui fu dato il nome di Oberdan nel giugno del 1923 e che prima si chiamava semplicemente Piazzale Venezia, c’è – ancora oggi (anche se chiuso) – quel gioiellino di art déco, inaugurato il 18 gennaio 1926, che è L’Albergo Diurno Metropolitano.
Sì, al momento dei fatti che adesso ti racconterò questo luogo ancora non esisteva (il primo progetto risale al 1923), ma mi sembrava opportuno partire da qui perché aiuta a immaginare un attimo: chi erano gli anarchici. Gente che si muoveva da una nazione all’altra, da un continente all’altro, e quando passavano da Milano, alloggiavano in luoghi fatiscenti. Come Errico Malatesta, che quando è a Milano alloggia in via Achille Mauri 8, nei locali adiacenti alla sede dell’USI. Case di ringhiera, senza servizi se non il cesso comune sul ballatoio. Pensa quanto, per chi non aveva una casa veramente sua, fossero importanti i bagni pubblici. Poi considera che erano tra i pochi luoghi in cui ci si poteva incontrare e pianificare azioni senza destare il sospetto degli sbirri e degli infiltrati che ti tenevano d’occhio (specie nei circoli e nelle sedi sindacali).

Da qui, guarda, si vede Porta Venezia. Sta più o meno dove si trovava quando furono erette le mura spagnole cinque secoli fa, solo che si chiamava Porta Orientale ed era un semplice foro nelle mura, chiuso con un portone di legno: le casse dell’amministrazione spagnola erano spesso vuote e le opere, anche quelle difensive, venivano ridotte all’essenziale.
Per avere quell’aspetto monumentale che puoi riconoscerle ancora oggi, si dovrà aspettare oltre la metà del 18° secolo, quando in seguito alla guerra di successione spagnola la dominazione sul milanese passò al ramo austriaco degli Asburgo. L’importanza della porta che apriva la strada verso Vienna, era tale, da dover essere resa evidente. Così Maria Teresa, arciduchessa regnante sull’Impero Asburgico, ne affidò il rifacimento monumentale a Giuseppe Piermarini. La porta fu completata nel 1782, quando Maria Teresa era morta ormai da due anni.

Basteranno dieci anni, ed esattamente quando Napoleone Bonaparte il 15 maggio 1792, sbaragliati gli austriaci a Lodi, entrerà trionfante a Milano da Porta Romana, a dimostrare l’evidente obsolescenza delle mura e delle porte cittadine davanti a questo nuovo modo di condurre la guerra. Da questo momento, decaduta la loro giustificazione difensiva e spostate le sedi dei dazi in una serie di caselli extraurbani, le porte divennero monumenti di mero valore estetico, e con una certa velocità Milano cominciò spontaneamente a svilupparsi al di là dei bastioni (che, con il primo piano regolatore cittadino, messo a punto tra il 1884 e il 1889 dall’ingegner Cesare Beruto, furono abbattuti lasciando in piedi solo la porta, aprendo la grande arteria stradale di Viale Monforte, oggi Viale Piave).

Mentre la città assume nuove forme, le domeniche dei milanesi passano più o meno nello stesso modo. Una passeggiata nei giardini pubblici, anch’essi progettati dal Piermarini per volontà del viceré a Milano, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Este, e poi, quelli che avevano i soldi per il biglietto, una nuotata in piscina.
Sì, perché all’angolo tra Corso Loreto (quello che oggi è Corso Buenos Aires) e Viale Monforte, appena fuori da Porta Venezia, c’era una piscina pubblica; la prima d’Italia, realizzata nel 1842 utilizzando le acque del Seveso e della Martesana: I Bagni di Diana, la cui vasca principale, da cento metri, si stendeva fino agi orti delle ville nobiliari, dove nel 1974 verrà aperta via Nino Bixio. Agli inizi del ‘900 la piscina cominciò un lento declino, perché le acque che ne alimentavano le vasche, presentavano i segni del primo inquinamento industriale, dovuto alle fabbriche che, come la Breda, sorgevano lungo i navigli della Martesana. La gente disertava la piscina e lentamente le abitudini domenicali cambiarono. Così, nel 1907 i Bagni di Diana vennero chiusi, per lasciare posto al Kursaal Diana, monumentale edificio che comprendeva un ristorante, un hotel di lusso, uno sferisterio per il gioco della pelota e un teatro. Proprio il teatro sarà il luogo in cui si svilupperà la nuova moda che occuperà le sere dei milanesi: l’operetta.

Ecco. Adesso vieni, attraversiamo Corso Buenos Aires raggiungendo Viale Piave e fermiamoci all’altezza del civico 42. Quel bel palazzo che vedi, era – più o meno con la stessa struttura – la sede del Kursaal Diana, e lì dove adesso c’è il lussuoso ingresso di quell’albergone da ricchi, lo Sheraton Diana Majestic, c’era l’ingresso del teatro Diana. Ora invece ci muoviamo nel tempo. È il 23 marzo del 1921, lunedì sera e in cartellone al Diana c’è un’operetta famosissima, La Mazurka Blu. Non c’è milanese, tra quelli che possono permettersi il biglietto, che non voglia vederla. Lo spettacolo di stasera ha fatto il tutto esaurito. Sono circa le 22.30, la pausa prima dell’ultimo tempo dell’operetta è appena terminata. La gente rientra in sala.
Mettiti da parte, non lo senti dal ritmo del mio racconto che sta per succedere qualcosa?

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