Finding Brakhage – Parte 2

Francesco Pelosi | Fuori tempo |

La prima parte dell’intervista di Francesco a Marco Lori su Stan Brakhage è QUI.

Francesco: Abbiamo interrotto la nostra intervista sul più bello, proprio mentre ci avvicinavamo al centro del discorso. Quindi ti chiedo: in che senso per Pound e Duncan l’arte è lo «strumento fondamentale di un processo spirituale»? E come questo aspetto si ritrova nelle opere di Brakhage?

Marco Lori: Questo è l’argomento centrale della mia tesi, che purtroppo non posso copiare e incollare qui. Cercherò di dare alcune coordinate essenziali.
Brakhage ha spesso fatto dichiarazioni che mettevano in relazione la spiritualità con l’arte. Queste non sono mai state discusse criticamente ma liquidate come fantasie e suggestioni di un visionario, la sua immagine dominante di cui dicevo prima. Andandone invece ad investigare le possibili origini teoriche e storiche in realtà esse provengono da una linea di pensiero ben precisa riscoperta in qualche modo dalle idee di ispirazione occultista/esoterica di Pound, e successivamente di altri, Duncan in particolare. Molto sbrigativamente, questa linea di pensiero è il risultato di una sintesi medievale di antiche dottrine Greche. Ancora più in generale possiamo pensare ad alcuni aspetti del Neoplatonismo, che è stato riconosciuto come la radice di tutti i fenomeni esoterici dell’epoca cristiana.
Brakhage ha sempre dichiarato di creare in uno stato di trance, inteso come uno stato mistico. Durante questo stato si trovava ad essere uno strumento operato da forze sconosciute. Definì queste forze Muse, spiegandole come manifestazioni dell’ineffabile (il termine preferito di Brakhage per indicare qualcosa di divino).
Diversi studiosi di Pound hanno stabilito l’influenza che l’esoterismo e il Neoplatonismo hanno avuto nella formazione delle sue idee sull’arte e sulla sua funzione. L’opera è uno strumento per indurre rivelazioni spirituali, illuminazioni, e quindi l’arte è una attività eminentemente spirituale per entrare in contatto con il divino. Queste stesse idee sono penetrate nel giovane Brakhage non solo tramite la lettura di Pound ma anche tramite l’amicizia con il poeta Robert Duncan, proveniente da una famiglia di teosofi ed esoterista lui stesso. Negli anni ‘50 Brakhage visse due anni a casa di Duncan che all’epoca era al centro della San Francisco Reinassance. Brakhage ha ricordato che tutte le sere poeti, scrittori, musicisti, pittori, attori, ecc. si riunivano a casa di Duncan per parlare di arte.
Brakhage ha dichiarato che l’arte implica necessariamente una rivelazione, intesa come rivelazione spirituale. Pound aveva già detto che lo scopo della scrittura è di sollecitare una rivelazione spirituale improvvisa. Duncan è della stessa opinione quando parla di esperienza mistica indotta da un’opera. Va però specificato che né Brakhage, né Pound, né Duncan sono da considerarsi occultisti nel senso tecnico del termine, ma artisti che sono stati influenzati da idee che fanno parte della tradizione esoterica occidentale e che prima dell’avvento del Cristianesimo nessuno si sarebbe sognato di definire “occulte”. Aggiungo anche che oltre a queste posizioni e dichiarazioni squisitamente teoriche, esiste tutto un arsenale di scelte tecniche/estetiche, specifico per il medium di ognuno di questi artisti, che è riconducibile a queste convinzioni spirituali. E molte delle loro peculiarità e scelte estetiche non sarebbero motivabili altrimenti. Le loro convinzioni non rimangono quindi semplici vezzi eccentrici.
L’opera in questa prospettiva è un ponte, un mezzo, tra il mondo visibile e quello invisibile o più precisamente tra il nostro “normale” stato mentale ed uno stato mentale diverso, superiore, intensificato.

Mi dici che Peter Mudie , un accademico australiano, ha provato a creare un parallelo tra la forma musicale e l’utilizzo di certe tecniche in Brakhage, dove «i fotogrammi congelati sarebbero note sostenute a lungo, le sovrimpressioni diventerebbero accordi, cambi di andamento corrisponderebbero all’arpeggio, alterazioni di tinta richiamerebbero cambi di suono, intonazione o volume», e che un simile parallelo musicale è stato fatto anche daFredric Jameson a proposito della frammentazione visiva dei film di Brakhage. Mi viene in menteMarius Schneider, nel suo libro Pietre che cantano, quando riporta la scoperta che fece studiando i chiostri di alcune cattedrali medievali spagnole: a ogni capitello era assegnabile un valore musicale e le piante di questi chiostri erano in realtà lo spartito di una melodia. Si potrebbe desumerne, al contrario di quanto affermato da Pater, non tanto che l’arte tutta aspiri alla musica, quando che la musica sia alla base di tutto?

Qui dobbiamo entrare nel regno della speculazione pura, ma praticandola con buon senso ed essendone consapevoli, si potrebbe anche tentare di percorrere un breve tratto di questo sentiero.
Quindi direi: più che la musica, l’armonia. La configurazione e modulazione armonica come modello per una configurazione armonica di tutti gli aspetti di un’opera d’arte. La musica è stata spesso ritenuta come l’arte “maestra” proprio perché in essa le proporzioni, i rapporti, le modulazioni di quantità, di qualità, di tempo (ma anche di “spazio” per certa musica) sono più pure ed immediatamente evidenti, strutturali. Non essendoci un “senso” immediato e comune, così come non è rappresentazione di niente (come parole e immagini sono spesso rappresentazioni di qualcos’altro), la musica non ha bisogno di essere definita in base ad altro. Chiunque, di qualunque cultura, ma anche di qualunque epoca, sentendo un suono o un’aria, o un “grappolo” di suoni, potrebbe ritrovare la stessa emozione. La musica potrebbe quindi suscitare gli stessi moti interni (che possiamo vedere come fisiologici, emotivi, spirituali, ecc. in base alle nostre tendenze) in chiunque in modo pre-razionale. In questo senso Pound parlava di ritmo assoluto. La frammentazione del verso, così come la frammentazione del senso (che non è un’assenza di senso, ma il pervenire ad un senso diverso attraverso una strategia/configurazione diversa), sono modi per sfuggire agli automatismi inconsapevoli della nostra cultura dominante e razionale del dare certi sensi in un certo modo, e di definire qualcosa in base ad altro. Automatismi inconsapevoli che costituiscono la nostra forma mentis e la nostra visione della realtà (ecco perché un’alternativa costituisce subito una critica implicita). La stessa cosa vale per la frammentazione del materiale e l’astrazione visiva di Brakhage. Tolti gli automatismi semiotici, e su questo Brakhage è stato particolarmente deciso specialmente in gioventù (e questo è il motivo della visionarietà e del lirismo giovanili), il campo è libero per raggiungere livelli, stati, dimensioni più profonde o più alte, come dir si voglia. L’idea di underground del primo cinema sperimentale Nord Americano degli anni ‘50, era proprio che sotto la superficie, sotto l’apparenza, sotto il visibile, ci fosse la verità, l’autentico, l’invisibile. È facile, ed anche corretto, intendere questo storicamente e socialmente come una reazione al conservatorismo degli anni ‘50; ma l’idea, per chi l’ha mantenuta, si è evoluta in qualcos’altro, qualcosa di più profondo e arcaico (Pound si rifà ad una tradizione occidentale che risale ad Eleusi e che è stata in qualche modo canonizzata dal Neoplatonismo), e per mancanza di termini migliori nel nostro linguaggio tecnico/scientifico, spirituale.

A questo punto, mi pare non si possa non arrivare a Brion Gysin e ai suoi cut-up, resi celebri da William Burroughs. Mi sembra ci sia una comunanza sia formale che di intenti fra il loro lavoro e ciò di cui hai appena parlato. Anche i cut-up erano usati per sfuggire alla mente razionale e all’imprinting della cultura dominante e anche loro trovavano un ritmo nuovo nel testo che andavano a frammentare e ricomporre. Un ritmo implicito e casuale, che prima era invisibile, un ritmo sincronico, si potrebbe dire, se non suonasse ridondante. C’è mai stato un contatto fra queste esperienze? E ho ragione a ritenerle simili, o sto aggiungendo speculazione alla speculazione?

Sicuramente per entrambi i casi si può parlare di frammentazione formale che però può diventare anche strumento di obiettivi ben più profondi. Faccio notare che la frammentazione è stata riconosciuta come una delle caratteristiche fondamentali del Modernismo, ma la ritroviamo anche in moltissime altre correnti artistiche del ‘900; e c’è chi ne ha letto una strategia di “adeguamento” dell’arte ai cambiamenti storici. Alla frammentazione è stata data una dignità teorica sistematica per la prima volta dai filosofi Romantici. E in particolare da Novalis, molto stimato da Brakhage, il quale gli ha anche dedicato un film (From: First Hymn to the Night – Novalis, 1994). I Romantici erano convinti che molteplicità ed indeterminatezza (prima ho usato il termine “apertura” seguendo il lessico di Brakhage) siano il cuore strutturale della realtà. Questo non è un rifiuto di ogni significato e l’accettazione passiva di un indefinito caso, ma il rifiuto di un significato univoco. Il significato quindi sarebbe sempre costituito da una molteplicità. La frammentazione, nel caso dei Romantici del materiale testuale, non sarebbe solo un modo per celebrare la molteplicità del mondo, ma anche di rispecchiare la struttura stessa della realtà.
Questo è sicuramente vero per Brakhage come per Burroughs. Per quest’ultimo ad esempio la vita stessa era un cut-up, nel senso di essere una continua sollecitazione del soggetto a frammenti di input, di connessioni semantiche e stimoli sensoriali. E nei film di Brakhage, specialmente in quelli giovanili, questa proposta sembra quasi articolata alla lettera. Con la differenza che in lui c’è sempre stata la ricerca di una armonia nel turbine di frammenti, di una musicalità. E se quest’ultima tendenza lo accomuna a Pound (e probabilmente era derivata da lui), lo distingue ad esempio dai Cut-Up Films fatti da Anthony Balch e Burroughs stesso (che rappresentano il corrispettivo filmico dei suoi testi). La differenza è che in questi ultimi c’è sì ritmo ma che non aspira all’armonia. Sono dispositivi atti unicamente a sgretolare la nostra quotidiana percezione della realtà.
Nel metodo del cut-up l’input iniziale e il risultato a cui si aspira sono la distruzione del nostro modo dominante di percepire e quindi di ragionare sulla realtà. Burroughs rappresenta sì una forza controculturale, ma ne incarna la parte eminentemente destruens. Vi è quasi un approccio scientifico allo smantellamento di categorie mentali date per scontate.
Nel caso invece di Brakhage, e della tradizione a cui si rifà, la frammentazione è la porta per costruire una nuova armonia, per raggiungere quella rivelazione spirituale di cui abbiamo parlato prima ma che non è completamente e definitivamente parlabile. L’effetto quindi di critica verso la nostra cultura è secondario ma inevitabile, implicito. Brakhage ha più volte dichiarato che ha cominciato a fare film in quel modo per cercare il suo modo di vedere. E se in gioventù si è associato alla critica del New American Cinema verso Hollywood, ha poi dimostrato che il suo percorso era ben più radicale del definire la propria posizione concettuale sulla base di un altro. Charles Boer ha scritto a proposito di Duncan che la sua tradizione poetica, ed in questa inseriamo ovviamente anche Brakhage, sta cominciando (Boer scrive questo nel 1996) a lasciare perplessi, a sembrare antiquata ai giovani, a confondere fin quasi a perdere significato. Questi artisti prendevano quello che definivano come divinità sul serio, non come decorazione, come figure retoriche, come nostalgia della cultura Classica, o come strumenti per altri fini. Loro credevano.

In ultimo, per tornare a terra e concludere, ti chiedo se l’opera di Brakhage ha influenzato cineasti “tradizionali”, e in che modo, se l’ha fatto, si è riversata nella cultura odierna o in quella immediatamente precedente.

Come sappiamo negli anni ‘50 e soprattutto nei ‘60 c’è stata una grande rivoluzione culturale che si è manifestata in modo prorompente in tutte le arti. Questo è vero tranne che per il cinema di Hollywood. L’innovazione vera è arrivata con la Nuova Hollywood a partire dagli ultimissimi anni ‘60, quindi in ritardo su tutto il resto. La Nuova Hollywood ha introdotto una serie di novità tematiche e tecniche che hanno permesso negli anni ‘80 la nascita di un nuovo tipo di blockbuster globale (si pensi a Star Wars e Indiana Jones), anche se ovviamente l’obiettivo originale era tutt’altro. Molte delle novità della Nuova Hollywood venivano direttamente dal New American Cinema, a cominciare dal montaggio accelerato. Gente come Martin Scorsese o Brian De Palma erano buoni conoscitori ed estimatori del New American Cinema, e lo stesso George Lucas era un ammiratore di Brakhage. Il problema è che le sperimentazioni tecniche sono state adottate per obbedire ad altre priorità, e sono state quindi quasi del tutto spogliate della loro carica controculturale. Come è stato notato, il cinema sperimentale è anticipatore, ma nel cinema commerciale sopravvive solo in sequenze particolari: sequenze oniriche, di percezione alterata, di particolare intensità e disperazione emotive. Diciamo che è stato assorbito dal catalogo degli “effetti speciali” (ed in questo senso ha avuto una ancora più decisiva influenza sul video musicale e sulla pubblicità).
La controprova è che se oggi accettiamo un montaggio frenetico, caotico e confuso, nelle scene d’azione di un Michael Bay (per non parlare dei fondamentali montaggio e volume sonori), di fronte ad un qualsiasi film di Brakhage ci ritroviamo ancora senza punti di riferimento e ci rifugiamo nel «non ha senso». Dal punto di vista squisitamente storico quindi, vale ancora quello che scrisse Guy Debord: «Le avanguardie hanno solo un tempo; e la più gran fortuna che possa capitare loro è, nel vero significato della parola, di aver fatto il loro tempo».

Grazie Marco. Direi che a questo punto possiamo salutarci e, visto che hai citato Debord, recupererei l’altra sua frase che mi avevi proposto per aprire questa nostra intervista, che mette tutto nella giusta ottica:

«Per giustificare, per quanto poco, l’ignominia completa di ciò che quest’epoca avrà scritto o filmato, bisognerebbe un giorno poter sostenere che non ci sia stato letteralmente nient’altro, e quindi che nient’altro, non si sa perché, fosse possibile. Ebbene, basterò io solo ad annientare questa scusa imbarazzata con l’esempio.»

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