«Il metatesto mi ha rotto il cazzo!»

Paolo Interdonato | #quasifumetto |

Noi che facciamo QUASI ci scambiamo un sacco di mail per mettere a punto il settimanale. Fare una rivista che non legge nessuno richiede un sacco di lavoro e, mentre lo facciamo, quel lavoro, ci scambiamo un sacco di idee. Per esempio per costruire un omaggio a Claire Bretécher che valesse la pena leggere e, a un certo punto, ci siamo detti che sarebbe stato bello allineare in una carrellata tutti i punti di vista all’interno della redazione sulla fumettista. Qualche giorno fa abbiamo dedicato al tema “Duetti”, grazie a un’intuizione di Francesco Pelosi, un tentativo di “cadavre exquis” che, per mettere come sempre al centro l’idea del convivio, abbiamo deciso di chiamare “La grolla”. È stato facile allora dirsi «Facciamo un altro giro di grolla, ma questa volta alla salute di Claire.»

Quando è arrivato il suo turno, Giorgio Trinchero ci ha scritto: «Io ve lo dico ora, così faccio calare il gelo: non credo di aver mai letto niente di Bretécher… forse l’ho incrociata su dei linus trovati per caso, ma niente di più. Oggi vado in fumetteria a vedere se si può recuperare qualcosa. Insomma era un modo complesso per dire che salto questa grolla.»
Boris ha subito rilanciato: «Lo spirito della grolla non richiede competenza alcuna sull’argomento in oggetto. per esempio anche le tue quattro righe di mail andrebbero bene. a mon avis.»
In risposta Giorgio è stato estremamente tranchant: «il metatesto mi ha rotto il cazzo, non ne posso più!»
Risparmio, per pudore, il tafferuglio scoppiato in mail sul senso del metatesto e sulla confusione scatenata al proposito dal pessimo uso che ne ha fatto, negli ultimi trent’anni, “Dylan Dog”, che ha raggiunto con la gestione di Roberto Recchioni un livello talmente basso da rendere impossibile perfino l’uso della pala.
Di tutto questo discorso, a me è rimasto addosso il disagio indotto dalla sentenza senza appello di Giorgio. «Il metatesto mi ha rotto il cazzo!»

A me il metatesto continua a emozionare. L’ultima volta che mi ha scatenato un fremito è stato poco fa, mentre stavo leggendo un libro con Carlotta, la mia bambina che tra qualche giorno compie quattro anni. Di fronte a una situazione assurda, una violazione della quarta parete, mia figlia si è messa a ridere sonoramente. E mi stavo divertendo anche io. Molto.
Allora mi sono messo a pensare ad alcuni dei libri che mi chiede di leggerle più spesso.
Scelgo alcuni esempi tra gli albi illustrati più gettonati.

Il primo è In bocca al lupo di Fabian Negrin. È una riscrittura di cappuccetto rosso che racconta la storia di un lupo che, pur chiamandosi Adolfo, non è una bestia cattiva che cerca di ingannare la bambina. Si limita a rispondere a istinti naturali. È anche una creatura magica, capace di trasformarsi in bosco o in nonna, ma che può essere tradita da uno specchio, proprio come un vampiro. C’è una sequenza in particolare che ci stupisce mentre leggiamo quell’albo. Dopo aver chiesto alla bambina dove stia andando, il lupo la lascia ripartire e poi si lancia verso la comune metà usando una scorciatoia. Sfonda la pagina, letteralmente, e riemerge in quella successiva, lasciando indietro la bambina che dovrà necessariamente percorrere tutto il testo. Il disegno della carta che si strappa e si solleva per accogliere il corpo lupesco stupisce Carlotta, che ride per l’effetto e gode per la violazione della pagina. Ha imparato prestissimo (ai danni di un paio di libri del papà e scegliendo con cura particolare tra artbook di Maurice Sendak e Harvey Kurtzman) che dopo aver strappato la carta, la lettura diventa molto più difficile. Ed è proprio questo il motivo per cui quella violazione stampata (e dannatamente metatestuale) ci diverte così tanto.

Aiuto, arriva il lupo! di Cedric Ramadier ci racconta invece di una belva famelica e cattiva che ce l’ha proprio con noi. Compare all’orizzonte e, completamente indifferente alle barriere fisiche, ci nota subito e inizia a correrci incontro. Vuole sbranarci, è chiaro: glielo si legge in quei malvagi occhietti giallognoli e nelle fauci spalancate. Il libro, assolvendo alla sua funzione di Shahrazād ci dà indicazioni puntuali su come salvarci la vita. Ci ordina di sfogliare in fretta per vedere se il lupo scompare, di inclinare il volume di lato per farlo cadere fuori dalla pagina, di scuotere l’albo per far staccare la belva dai suoi appigli. È tutto inutile. Alla fine il solo modo per salvarsi è chiudere il libro. Giunti alla quarta di copertina siamo salvi, ma il libro non ha esaurito la sua funzione. E ci invita a ricominciare il gioco. Fuori e dentro il testo si ride e si gioca.

Abbiamo trovato La vita bella di Floc’h in uno spazio remainders. Confesso di averlo comprato senza consultarmi con Carlotta, perché dovevo guardare con attenzione il picture book realizzato dal disegnatore della Trilogia inglese (poi ho scoperto che, benché questo sia il suo unico libro illustrato uscito in italiano, ne ha fatti diversi). Una porta. Si apre. Entra il padre (che è lo stesso Floc’h) che subito si rivolge alla bambina che legge il libro (dalla dedica capiamo che è la figlia Marion). Allunga la mano verso di lei e la invita a entrare. Poi, i due giocano a dirsi i 1000 buoni motivi per stare al mondo. È un gioco bellissimo e raffinato. Il mio divertimento è della stessa intensità di quello di Carlotta, tutte le volte che lo leggiamo. E tutti e due, ogni volta, diventiamo Marion, figlia di Floc’h

E infine c’è un libro che è entrato in casa ieri e che abbiamo letto per la prima volta poco prima che iniziassi a scrivere questo articolo. Si intitola I tre porcellini ed è firmato da David Wiesner. La storia è proprio quella che conosci ma il lupo, quando soffia e sbuffa e spazza via la casa di paglia, fa volare il porcellino fuori dal disegno. Il suino scopre uno spazio tra le immagini in cui può muoversi liberamente. Da questo spazio misterioso il porcello salva i fratelli, lasciando il lupo con un palmo di naso, mentre il racconto verbale prosegue indifferente all’evasione dei maiali. La risata di Carlotta, mentre le parole ci dicono di un lupo che sbrana i maiali e l’immagine ci mostra l’espressione confusa e perplessa di una bestia rimasta digiuna, intensifica il divertimento che, in quel preciso istante, scuote anche me. A quel punto i maiali, come fossero sfere in gita a Flatlandia, entrano in altri libri, raccolgono una compagine di amici (strappandoli a destini infausti) e ritornano, accompagnati da un drago, alla casa di pietra. Per riallineare il racconto verbale a ciò che mostrano le figure, il più intraprendente tra i maiali corregge con impegno le parole che accompagnano i disegni.

Il metatesto non è il male. Il cattivo uso che ne viene fatto da autori in affanno, quello sì.

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