A casa di Davide Reviati, presa in prestito per la casa di Bibi nel fumetto che sto disegnando in questi mesi, Volevamo essere le Spice Girls, su una mensola sopra un calorifero c’è una radio. È una di quelle vecchie, con lo spazio per le musicassette e la casse rotonde ai lati, di quelle senza aletta del CD e che hanno le manopole per cercare le frequenze delle stazioni, nazionali e regionali, financo cittadine.
Mentre fumiamo una sigaretta (lui quel pomeriggio esagererà e ne fumerà una in più del suo solito), la accende. Pensavo fosse un ninnolo, invece scopro che è funzionante: Radio 1 e le notizie ci avvolgono nel volume basso e gracchiante.
È il 1991.
A fianco a me, seduto apparentemente incurante della partita che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi nel meraviglioso palcoscenico dello Stadio Meazza in San Siro, un signore dai capelli canuti sotto un berretto nero da baseball in velluto e vestito di scuro, sussulta con un auricolare nell’orecchio.
È domenica e le partite del campionato di calcio si giocano tutte in contemporanea alle ore 15.
Lo osservo, seguo il filo dal suo orecchio fino alla tasca della giacca. Spunta l’angolo di una radiolina portatile.
Il Milan segna, io alzo le braccia e urlo; insieme a me altre cinquantamila persone e un po’ anche quel signore, non stupito più di tanto.
Sono gli anni degli Invincibili, al Milan vincente e sontuoso i tifosi si sono abituati, a stare lassù, a vederne i trionfi, ai sorrisi delle coppe in mano scendendo dagli aerei e ancora oggi si è in riserva con l’appagamento di quei tempi.
Gli applausi e il frastuono nella cattedrale scemano diversi minuti dopo.
Io li sento ancora.
Nel silenzio enorme dello stadio vuoto, sento ancora quell’incitamento.
Mi è capitato di vedere una fiction del regista Pupi Avati.
Nelle sue storie, la sua Bologna, la Bologna da cui è partito il Giro 2019, per noi riminesi e aspiranti laureandi è sinonimo di bicicletta. La Bologna di Jack Frusciante è uscito dal gruppo nel quale il protagonista interpretato da Stefano Accorsi, già incrociato nel suo primo ruolo proprio in un film di Avati, nel tentativo di riconquistare il primo amore che pare eterno per poi svanire come ricordo adolescenziale, percorre in bicicletta quella che sembra la salita di San Luca come un disperato corridore alla rincorsa di Coppi.
Ma nelle storie di Avati, il regista racconta anche e spesso dell’Italia del dopoguerra e di famiglie, dei cambiamenti che governi, società, decenni hanno irrimediabilmente trasformato in quella che oggi è l’epoca moderna. In una scena in concomitanza degli anni del boom economico, nella ristrutturazione del salotto appare la prima televisione, in sostituzione di una radio.
Una di quelle radio imponenti, ingombranti persino, messe presto in cantina o in soffitta o addirittura vendute, di quelle che si vedono restaurate nei negozi di antiquariato e vintage in seconde vite inaspettate, una di quelle che sono nel mio salotto.
Io sono figlia degli anni Settanta, delle musicassette e delle canzoni negli ottanta con i deejay che parlano o all’inizio o alla fine nel tentativo di registrare sul nastro la propria canzone preferita.
E della radio.
Dello sport visto alla radio.
Prima della tv, prima dei supporti digitali, prima di internet, era la radio il mezzo più veloce per sapere cosa accadeva: nel mondo, nello sport, nella musica.
Il gracchiare delle frequenze mentre si cercava quella giusta con la rotellina, quella del volume, troppo alta o troppo bassa, l’antenna abbassata o allungata e bastava un alito di vento a storpiare musica e parole, le pile se la si voleva portare in giro, la presa elettrica in casa se la si ascoltava sul mobile della cucina mentre le madri e le nonne avviavano pranzi e cene.
A metà anni Novanta, con un benessere crescente, le radio, su quei ripiani venivano sostituiti dalle tv, di piccole dimensioni, le prime col telecomando.
Ma lo sport, il ciclismo soprattutto e poi il calcio elevato a sport nazionale, è passato molto dalla radio: ne ha raccontato l’epica, i suoi protagonisti e le loro imprese.
Mi autocito: l’epica dello sport passa anche dalle voci che ce la raccontano, passa soprattutto dalle voci e da quelle frasi che poi sono diventate mitiche. Simboli, di tutto, che si vedono nei vecchi bar dalle insegne arrugginite, dalle cabine del telefono vuote di apparecchi, dalle fotografie in bianco e nero appese sul legno che riveste le pareti.
La giornata mondiale della radio si celebra il 13 febbraio 2021.
È un sabato di imminente neve e cielo greve, nuvole minacciose all’orizzonte della linea del mare nell’aspettarsi una patina bianca sulla spiaggia marchigiana e invece solo tanto freddo e vento forte.
Quando sono in macchina è automatico girare la manovella e accendere l’autoradio.
Lo faccio anche oggi.
Le voci di Tutto il calcio minuto per minuto mi avvolgono nell’abitacolo.
Non passa mai, non va mai via la sensazione che ogni volta io stia ascoltando un programma storico. E che non stanca mai.
È la trasmissione radiofonica di maggior successo e che celebra anno dopo anno la bellissima resistenza al tempo che passa, longeva solo come alcune cose belle. Pressoché inalterata nel corso dei decenni, con punte di anche 25 milioni di radioascoltatori, chiunque di noi anche solo per sbaglio salendo in auto con i propri genitori da bambini ha ascoltato involontariamente le voci che si sono succedute negli anni. Da Enrico Ameri a Sandro Ciotti, da Everardo Dalla Noce alla prima donna nella storia Nicoletta Grifoni, da Alfredo Provenzali a Filippo Corsini, da Riccardo Cucchi a Francesco Repice, chiunque di noi ha orecchiato quelle voci che annunciavano un gol in diretta.
Dopo pranzo c’è di solito il caffè e la lettura di qualche articolo di giornale. Capita spesso che invece accenda l’app dello smartphone e ascolti Tutti convocati su Radio24.
Carlo Genta, Giovanni Capuano e Pierluigi Pardo aprono il loro personale e radiofonico Bar Sport e ogni giorno trattano i temi dello sport. Principalmente di calcio ma non lesinano puntate nel basket, nel ciclismo, nella F1 e nelle moto. Scoppiettanti come può oggi essere una stanza fatta bene di Clubhouse, è un programma molto godibile, giusto per un caffè lungo.
Quando abitavo in paese, la radio portatile era illuminata dalla finestra. Appoggiata sulla mensola della libreria in ferro (simile a quella che ha Davide nel suo ingresso), libri e fumetti ad abbracciarla, verso le 15,05 su Radio1, prima dell’intervento di Carlo Conti diventato direttore artistico nel 2016 nel riorganizzare i palinsesti e cancellare diversi programmi, andava in onda A tutto campo.
Quella finestra la aprivo e nelle pause fumavo sul balcone, ascoltando quel sottofondo di notizie sportive belle e interessanti, mi affacciavo dentro a guardare la tavola da definire, qualche vignetta che mi faceva penare.
Quando è stato lanciato il canale Radio1Sport confesso che la messa in onda la aspettavo con trepidazione.
Un palinsesto fitto prima della pandemia, fino a marzo 2020 mi potevo sintonizzare fin dalla mattina presto e ascoltare la rassegna stampa sportiva. Poi l’epoca nella quale oggi viviamo, il coronacene, ha tagliato qualche appuntamento ma la qualità dello sport in RadioRai è davvero sempre altissima.
La radio portatile è ancora qui. Non sta più nella libreria ma sul mobiletto degli amari che stava a casa della nonna. A fianco, una pila di compact disc.
Ascolto poco la radio da lì.
Esco per andare in edicola a comprare il giornale e i fumetti.
Metto le cuffie nelle orecchie, prendo lo smartphone, scrollo un po’ sulla base dell’ora, accendo l’app di Radio Radicale e ascolto la rassegna stampa con Flavia Fratello.
Lo sport inizia dopo.
Rimini 1975, disegnatrice di fumetti, fumettara, illustratrice. Pubblica dal 1999. Qualche titolo: la fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, le graphic novel Io e te su Naboo e Cinquecento milioni di stelle, il fumetto sociale Dalla parte giusta della storia, il reportage a fumetti scritto dalla giornalista Elena Basso Cile. Da Allende alla nuova Costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?.