di Marco Bertoli
Da ragazzo ho scritto delle poesie, come quasi tutti, in particolare quei ragazzi che sembrano capaci di escogitarne d’ogni razza per trovarsi in difficoltà con la vita (di norma costoro non riescono poeti). Ma era anche quella una cosa che mi veniva con fatica quando non con pena, e ben presto un compito che espletavo con un senso esagerato del dovere, finendo inviluppato nelle figure metriche, sopraffatto dal dizionario dei sinonimi.
Questo, finché non m’imbattei in una specie di macchina generatrice di poesie.
Appassionato dall’infanzia della “Settimana Enigmistica”, mi affascinavano più di tutto, di quell’ossessione settimanale, i rebus, vignette rese dall’autrice (Brighella) con un segno morbido e quasi continuo, non raffinato ma flessuoso, animato da un tratteggio a dir poco sommario ma stranamente efficace, disegno non caricaturale e non realistico eppure realissimo, verista addirittura nel suo attingere spontaneo al repertorio iconografico di un’Italia contadina, archetipica, un’ltalia da me mai conosciuta se non vestigialmente: un Paese rurale di artigiani con i loro strumenti di lavoro, riprodotti con scrupolo d’esattezza; di carabinieri, preti, frati, suore e fantesche; di donne intente a “lavori donneschi“, di monelli cenciosi o in maschere di Carnevale; di cascine e di aie, di botteghe, di osterie con i litri e i mezzi litri e di rappresentazioni teatrali da strada, coi guitti e le scene di cartone… Una specie di immaginario collegabile, mi pare, a quello, d’indole diversissima, di uno Jacovitti, abbeverato a una stessa fonte di almanacchi popolari, vite di santi, e il terribile, tristissimo “fumetto plebeo” italiano ancora vivo a dopoguerra inoltrato.
Ora, questi iconemi si componevano, nei quadretti della Brighella, secondo una non-logica o logica associativa surrealista, giustapposti in situazioni incongrue con occasionali inserti di modesta, quasi imbarazzata modernità: automobile, televisore a tubo catodico, una volta perfino un computer come immaginato da chi non ne abbia visto mai uno in persona.
Ecco, il poeta negato e neghittoso che era in me scoprì che, soltanto elencando gli oggetti e i personaggi di quei teatrini da almanacco popolare e conferendo alla lista un semplice smalto ritmico, si produceva una plausibile imitazione di poesia post-Montaliana.
Ronza il calabrone
Accosto alla fontana inaridita, e il treno
Che dritto punta dall’arcolaio
All’orizzonte, che sa mai della rea
Che, fra due carabinieri,
Posa l’ultimo sguardo libero
Alla primiera,
vittoriosa su un tavolo vinoso.
Divertimento accidioso che durò poco, come la mia ambizione poetica.
Maria Ghezzi Brighenti (Brighella), 1927-2021.