Playlist: Ritmolento / 3

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

Lemme lemme, puoi recuperare il resto QUI e QUI.

#29

Ricordo benissimo la delusione che il 1984 ha infisso, con il suo arrivo, nelle mie carni adolescenti. Avevo già letto il romanzo di Orwell e mi aspettavo che succedesse qualcosa di imponderabile. Per esempio, soprattutto, il sex crime di cui avrebbe cantato in quello stesso anno Annie Lennox nella colonna sonora della pellicola tratta dal romanzo. Per riuscire ad assurgere a quel crimine (ero un adolescente normalissimo e quella era la mia ossessione prevalente), nel corso di quell’estate, mi sono improvvisato speaker in una radio localissima nella terra che dette i natali ad Andrea Pazienza, mentre gli altri andavano in spiaggia. Il mio piano, pur rivelandosi fallimentare, mi ha consentito di mettere più volte sul piatto Relax dei Frankie goes to Hollywood, una canzone che, accidenti!, parlava proprio di quella attività, desiderata e misteriosa, che conoscevo solo come pratica solitaria. Nel corso dei dodici mesi successivi, mi sarei dedicato a quell’obiettivo con rinnovata energia, con esiti tanto deludenti quanto prevedibili. Durante una festa avrei addirittura ballato il mio primo lento consapevole con una ragazza annoiata. Ed erano ancora i Frankie goes to Hollywood. [PI]

#30

Una pezzo lento e struggente inciso da Jacques Brel nel 1967 mi rende consapevole del fatto che la mia testa è un flipper. Ogni singolo verso di quella canzone mi scaraventa nel baratro di un’ossessione sempre diversa. Per esempio, quando Brel canta «Il nous fallut bien du talent / Pour être vieux sans être adultes» (volto in italiano da Sergio Bardotti e Duilio Del Prete) con «Ma c’è voluto del talento per riuscire ad invecchiare / Senza diventare adulti») io penso al fumetto seriale. A quello italiano e a quello statunitense, principalmente. Perché, quando si leggono le nuove avventure di personaggi nati diverse decine di anni fa, si finisce quasi sempre di fronte a eroi vecchi che non sono mai diventati adulti. I giapponesi corrono meno il rischio di infantilismi anziani perché, nella stragrande maggioranza dei casi, risolvono le serie in un numero limitato di volumi. I francesi hanno dei grandi vecchi che raccontano e riraccontano, ma lì può succedere che li affidino a fumettisti che possono permettersi di ignorare la sacralità che costringe quegli eroi a essere sempre uguali a loro stessi: penso ai volumi realizzati da autori inaspettati e irriverenti dedicati a Tif et Tondu, o a Spirou e al suo universo, o addirittura alle properties Disney (ma lo hai visto il Topolino di Loisel?). Mentre ronzo – lentamente, molto lentamente – intorno a questi pensieri, mi torna in mente proprio un volume della collana “Le Spirou de…”: La lumière de Bornéo di Zidrou e Frank Pé. In quel fumetto, Spirou e Fantasio, longevi personaggi belgi, si ritrovano improvvisamente adulti. I loro corpi sono invecchiati: hanno perso vista, capelli e ideali. Il mondo fa schifo. Sul serio. E loro devono fare i conti con il loro essere adulti inconsapevoli. La scoperta arriverà come un’agnizione da tragedia greca e, da quel momento, ci sarà impossibile leggere le loro storie ingenuamente.
Dovrei scriverne estensivamente, per dirti l’importanza di quella storia, ma preferisco godermi la sensazione dolorosa che quelle pagine mi hanno lasciato nel corpo e ascoltare Brel. [PI]

#31

Da ragazzo avevo la fissa della compilation fatte in casa. Mi riempivo la macchina di musicassette (prima) e cd (poi), zeppe di Playlist personali e studiatissime. Ci perdevo i pomeriggi a far sì che ogni nuovo solco avesse il giusto equilibrio e quantità di brani o trattasse il giusto tema, spesso quelle compilation erano regali che facevo persone importanti. Una delle ultime (che poi, chissà perché, ho smesso di dedicarmici) trattava proprio di ritmolento. Cioè, il titolo non era quello ma il concerto sì. E si apriva con questo pezzo di Brian Eno. [FP]

#32

Il 5 ottobre del 1996 i C.S.I-Consorzio Suonatori Indipendenti fanno uno storico concerto dedicato a Beppe Fenoglio nella chiesa di San Domenico, ad Alba. In scaletta infilano anche la cover di E ti vengo a cercare di Battiato, già presente nel loro disco appena pubblicato, il monumentale Linea gotica. Ferretti, anni dopo, racconterà che Battiato, una volta ascoltato l’omaggio (per il quale ha prestato la voce nelle battute finali), farà loro i complimenti per averla fatta “in quattro”, riferendosi al tempo, che dall’originale in 3/4 é stato appunto trasposto in 4/4, “rallentandolo”. Ma Giovanni Lindo, quasi completamente ignorante in materia musicale, si è detto spiazzato da quell’affermazione, perché i C.S.I. erano una band di sei elementi e non di quattro… [FP]

#33

Alla terza settimana di pontificazioni musicali su questo tema, mi é giunta l’illuminazione sul vero pezzo definitivo di ritmolento. Tutto in Tupelo di John Lee Hooker (nella versione che ne fece nel 1993 per il bellissimo disco di duetti, John Lee Hooker & Friends) concorre a questo titolo. Il blues in questione è spietatamente lento ma carico di energia sciamanica e di un ritmo incalzante che potrebbe potenzialmente durare in eterno, sostenuto dal battito del piede ben amplificato del vecchio John Lee, leitmotiv di tutta la sua musica (si dice che usasse mettersi dei tappi a corona sotto le suole per rendere il suono ancor più netto). E poi c’é la voce. E nella voce quel rantolo, quel sospiro involontario e stanco che in sostanza porta il vero ritmo, lento, del pezzo. Lo ascolto e riascolto da anni, e non molla mai. [FP]

#34

Nella fase finale, terminale, della sua carriera e della sua vita Cash ha pubblicato cinque album antologici, gli American Recordings, dove il criterio antologico pare essere: la roba che mi piace cantare e suonare. Quando ha preso Hurt dei Nine Inch Nails se ne è appropriato, l’ha veramente fatta sua, lo dice anche Trent Reznor. Evidentemente calzava a pennello. Il ritmo è lento, non altrettanto lo scorrere tra le mani del filo di Arianna al contrario del pezzo, quello che porta dentro al labirinto, non fuori. [LC]

#35

Lento è lento il pezzo, e richiede tempo, sui diciotto minuti, una vera sfida al formato “massimo 4 minuti” in auge da decenni di hit passate in radio. Dentro c’è di tutto, una parabola da noise-ambient + cornamuse che, se avete la pazienza di seguirla, si trasforma in un post-rock magmatico che gigioneggia con archi e accordeon, eruttando, infine, a tempo raddoppiato e cassa quadruplicata, verso lo schianto conclusivo su una sponda opposta sempre noise ma diversa dall’inizio. Una versione è stata utilizzata da Danny Boyle in 28 Days Later, tanto per dare un’idea dell’atmosfera. Non sono un audiofilo ma sarebbe da ascoltare con casse/cuffie di qualità decente. [LC]

#36

Incontrata grazie a Les Revenants, serie francese glaciale, spettacolare – la prima stagione, ché la seconda pareva imbastita dagli autori de Gli Occhi del Cuore e girata da René Ferretti, con personaggi sempre basiti e sbuffanti, da bravi francesi: l’ho mollata al secondo episodio. Ma la prima… Wow. E la colonna sonora dei Mogwai è parte integrante, decisiva della “agghiaccianza” (volevo tradurre chilliness…) dell’atmosfera della serie. Classico caso di brano/album che inchiodi su “Repeat”. Pure qui cuffie e volume alto raccomandabili. [LC]

#37

Fortitude è una serie TV partita benissimo e terminata in modo circense, ma la sigla è indimenticabile. La musica accompagna il lento formarsi dei cristalli di ghiaccio, e il riferimento continuo nel testo a fiumi, oceano, vento, rende ancora più lento, più rilassato il tuo cervello che ascolta. Sarà la marcia – lenta, vagamente da funerali di stato –, sarà la voce femminile che a volte sembra arrivare portata da un vento gelido. Ma il ritmo è decisamente lento. Mai guardato il ghiaccio formarsi? [AS]

#38

Anche Raised By Wolves, altra serie tv SCI/FI, mi ha dato parecchie soddisfazioni, musicalmente: la sigla di apertura è ipnotica: senti il deserto, la solitudine, il vuoto interstellare, il divario tra umano e postumano. Non so se ha un titolo oltre a Titletrack, ma è di Ben Frost. [AS]

#39

Ma la mia preferita “ritmolento”, è un valzer. Non so se è davvero lento, ma il 3/4 la rende giocosa e tranquillizzante, anche se nel testo sembra di perdersi in Alice in Wonderland. Lei è la titanica Kate Bush, che non ha fatto tutte cose bellissime, ma a volte ha imbroccato dei pezzi epici.
Questo, dopo Wuthering Heights, è il mio preferito: fatato, gioioso, misterioso: «Suddenly my feet are feet of mud / it all goes slow-mo / don’t know why I’m crying / Am I suspended in Gaffa?» [AS]

#40

Converrai che la primavera è la più lenta delle stagioni. i miei perché a proposito di questa canzone li ho raccontati nella pantomima di un paio di lunedì fa. però non te l’avevo fatta ascoltare. e allora, eccotela. [BB]

#41

Mai ascoltata la sua musica, se non suonata male da qualche orchestra scassa in qualche balera scrausa durante le lente cene d’estate alle feste del partito in cui militavo. però Raoul Casadei mi è sempre stato molto simpatico e un po’ della sua morte mi è dispiaciuto, e allora, visto che è tempo di ritmolento, perché non omaggiarlo con un suo classico valzer lento? maestro, dai attacca che si balla. [BB]

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