#1

Benché ci sia Jersey Girl, Heartattack and Vine è probabilmente il disco di Tom Waits che amo meno. Arriva dopo quel gioiello intitolato Blue Valentines e segna la fine del contratto con Asylum Records. Waits scalpita e non tollera più le ingerenze dell’etichetta. Pronto a rinnovare il contratto, si presenta negli uffici dell’Asylum con un nastro su cui ha inciso tre o quattro pezzi di cui è molto orgoglioso. Ci sono rumori strani e pare che il cantante si costruisca oggetti che fanno rumore, che nessuno oserebbe chiamare strumenti, dissotterrando materiali in discarica. «Perché usare una batteria che costa diverse migliaia di dollari quando la tavola del cesso che sbatte fa un suon più bello?», si chiede. All’Asylum non la prendono bene. Waits firma allora con Island Records e ci regala un’infilata di dischi che segnano indelebilmente gli anni Ottanta. Il primo ha un titolo che sembra proprio far riferimento a uno di quegli strumenti rinvenuto sottoterra: Swordfishtrombone. Il disco si apre con un brano che, programmaticamente, si chiama Underground. [PI]

#2

Sottoterra è il posto in cui tutti quanti, prima o poi, si finisce. Quel che resta di noi viene interrato. Di solito, inanimato. C’è sempre qualcuno che là sotto rifiuta di rimanerci. Come nella Sposa cadavere di Tim Burton. In quel film (il secondo d’animazione, che Burton si accredita come autore), Henry Selick non c’è. Di solito, allontanarsi da Burton non è una buona idea. Ci ha provato una volta Danny Elfman, con effetti spiacevoli sul prosieguo della propria carriera. Per La sposa cadavere Elfman compone la colonna sonora e canta Remains of the day, facendo danzare – al ritmo di una nuova Skeleton dance – morti che sottoterra proprio non vogliono restarci. [PI]

#3 

Appunto. Skeleton dance. [PI]

#4

Eppure c’è chi sottoterra cerca la propria storia. Come Francesco Guccini, quando parla di Radici. «La casa sul confine dei ricordi / la stessa sempre, come tu la sai / e tu ricerchi là le tue radici / se vuoi capire l’anima che hai». [PI]

#5

E c’è anche chi l’idea di sottoterra ce l’ha nella ragione sociale. Un gruppo di quelli che io non sono in grado di ascoltare e che conosco solo perché ha fatto una cover dei Massive Attack. Però si chiama Sepultura e il suo disco più venduto s’intitola The Roots of Sepultura e si apre con Roots, Bloody Roots (e, se guardi il video, c’è un tipo sudato che rutta una canzone, dall’inizio alla fine: straordinario!). [PI]

#6

“Sottoterra” è stata una grande e breve rivista, a cui devo l’incontro con Jay Reatard, che sottoterra ci è finito troppo presto. Da un disco registrato interamente da lui,credo in garage il suo ultimo che si intitola Blood visions propongo la title track anche se potrei mettere una canzone qualsiasi Io le amo tutte ed è stato il mio primo Rorschach. In copertina lui, in mutande, coperto di sangue, con la faccia da pazzo perché era pazzo e quella era la sua faccia di tutti i giorni. Curiosamente proprio quando sono sottoterra è l’artista che riesce a estrarmi come una carota, e a volte a scrollarmi liberandomi dalla terra e mostrandomi in tutta la mia gloria arancione – o viola, o gialla, avendo scoperto che la carota arancione si è affermata solo come tributo alla casa reale d’Orange e buttando fuori dal mercato tutte le altre povere carote queer. [AS]

#7

Va bene, di lì in poi l’ottone balcanico ha un po’ spazzolato i maroni, però quando è uscito Underground di Emir Kusturica nessuno è uscito indenne dalla travolgenza della colonna sonora. E non solo per lo zumpa-zumpa a base di ottoni e non solo per l’energia del film: il sodalizio Bregović – Kusturica ha consentito al primo di dispiegare un bel po’ po’ di repertorio con dentro tanta roba, dalle radici gypsy a Iggy Pop, tanto per dire (vedasi Il tempo dei Gitani, Arizona Dream e lo stesso Underground). Visto dal vivo un milione di anni fa, a Colle val d’Elsa, con un ensemble roboante che non trovi più nei vari video – dove però c’è sempre lui, vestito di bianco, con tasso alcolico alto (almeno fino a un po’ di anni fa) e con mocassini tendenzialmente strani. Impossibile non farsi sopraffare dalla ciclotimia ballare-come-scemi versus lucciconi-da-smodato-lirismo-gitano. [LC]

#8

Non so veramente niente degli Sneaker Pimps, se non che negli anni Novanta questo pezzo era dappertutto e lo si ascoltava con piacere. Ha avuto vari riaffioramenti in film e serie varie, a conferma del fatto che non ero il solo a ricordarlo. Il “sei sottoterra” non so se è lo stesso concetto di Six Feet Under ma, alla fine, non importa. Suona bene, suona piacevole, se anche parlasse di sepoltura è ok comunque. Polvere alla polvere. [LC]

#9

Hugh Laurie è uno di quegli individui di talento veramente prepotente. Tra le cose che sa fare bene c’è suonare e ha una passione marcata per il Louisiana Blues. Qui ci propone Saint James Infirmary, uno di quei pezzi maturati nella pancia della storia e diventati opera priva di autore ma nota a tanti. Louis Armstrong ne fece una versione che contribuì non poco a incrementarne la notorietà e la popolarità. Laurie, come tutti quelli di buon senno che guadagnano bene e hanno tempo per coltivare i loro hobby, si dedica con profitto all’hobby del caso. «When I die, bury me in straight-laced shoes» mi trova decisamente d’accordo, anche se sono più per cremazione, quindi prenderei un’altra strada. Però apprezzo lo stile. Potete suonarla al mio funerale. [LC]

#10

Praticamente ovunque, per sempre, in tutte le playlist di tutti i locali sulla sponda rock (quella contro la dance commerciale, insomma), fossero essi vere e proprie discoteche, club inventati in capannoni in periferia o pub da venti metri quadri. Per chi aveva voglia di ascoltare, uno dei versi porta la carica filosofica più alta possibile: «I don’t want to live my life again», un po’ quello che proviamo tutti i lunedì mattina quando suona la sveglia. Qualcuno doveva avere il coraggio di dirlo – ed è estremamente grazioso, da parte dei fratelli Ramone, aver confezionato il messaggio in un pezzo così dannatamente simpatico! [LC]

#11

Che idea pazzesca quella di Londra Sotto che Neil Gaiman ha piazzato nel suo Nessundove. Certo, niente di particolarmente originale, gli antesignani si sprecano, ma come per molte altre sue cose è così ben condita da invadere subito l’immaginario di chi legge. Il concetto di base si potrebbe riassumere con il noto distico di Battiato e Sgalambro: «Shock in my town / Velvet Underground». [FP]

#12

E visto che il sottoterra ha per definizione anche un sopra, la citazione esplicita del pezzo di Battiato sono loro, la band più influente nella musica pop occidentale, da quella domenica mattina del 1967 in poi. [FP]

#13

Due anni prima, nel 1965, Bob Dylan pubblica invece quest’altro pezzo sui sotterranei, con uno dei videoclip più famosi e copiati/citati che ci siano. Ma nessuno degli epigoni può però vantare la presenza di Allen Ginsberg che fa l’umarell. [FP]

#14

Continuando il gioco si specchi del sopra e sotto, cinquant’anni dopo, nel 2015, Francesco De Gregori pubblica un disco di traduzioni da Dylan dove inserisce anche Homesick subterranean blues, che diventa Acido seminterrato. Il pezzo è tutt’altro che memorabile, ma a De Gregori van riconosciute le acrobazie verbali tentate per tradurre quel pezzo che è in pratica un proto rap. [FP]

#15

E visto che Paolo mi ha fregato Underground e io Tom Waits volevo mettercelo a tutti i costi, infilo un pezzo che non è né sopra né sottoterra, bensì il tramite fra i due, il messaggero che ci porta giù. Nel 2002 il buon Tom pubblica con la Anti, etichetta di hip hop nella quale si è rifugiato per avere totale indipendenza artistica, due colonne sonore per altrettanti spettacoli teatrali: Blood money tratto da Woyzeck e Alice dal libro di Lewis Carroll. Qui il Bianconoglio, mentre ci guida nel sottosuolo, parla in tedesco e invece del classico «è tardi» ci urla «kommienezuspadt!» [FP]

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2 risposte su “Playlist: Sottoterra

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