LATO A: PUNTUALI
#1
Questi due erano matti. Tutta in 11/4. Trovatemene una più storta! [BB]
#2
Ma forse no… Se avessi dovuto scommettere avrei detto che era in 4/4. Pezzi di rete tipo Reddit o Twitter ci dicono poi che il giro è fatto da tre battute da 4 quarti, una da 2, due da 4. Totale 22 quarti, ho provato anche a contare ascoltando e mi pare che torni – volendo si può scrivere in 11/4 ma è un modo come un altro di complicarsi la vita, eviterei… comunque io avrei scommesso sul 4/4, ecco. Incontro già tanta difficoltà sui 4/4, 6/8 e 12/8.
A questo punto mi tocca tirare fuori qualche pezzo, però.
Per iniziare, un brano che non c’entra niente con le odd time signatures. Il tempo qui è pari e il pezzo è basato su un campionamento piuttosto letterale, anche se accelerato e portato in un’altra tonalità, di Danube Incident di Lalo Schifrin. Però Sour Times dei Portishead suona perfettamente noir, per abbandonarsi un po’ languidamente alla contemplazione dell’amarezza dei tempi correnti. Certo, viene meglio se canta Beth Gibbons, noi ci limitiamo ad ascoltare e a mettere in loop l’intero album, che sia Dummy o Live at Roseland NYC non importa. [LC]
#3
Dei Tool avrei potuto prendere Schism, pare che dentro ci sia un po’ di tutto, dal 2 ottavi, al 3 o 4 o 5 o 6 o 7 ottavi all’11 ottavi, passando per 4 quarti e 5 quarti, non necessariamente in quest’ordine. Ne viene fuori, dice qualcuno, un 13 sedicesimi – i Tool parlano di un 6,5 ottavi. Dice che siano corrette entrambe le possibilità. Però mi piace di più Lateralus che si limita, per così dire, a oscillare tra 9 ottavi, 8 ottavi e 7 ottavi. C’è anche di più perché il pezzo è congegnato intorno alla serie di Fibonacci: il numero di sillabe dei singoli versi cresce in base alla serie e pure i tempi utilizzati dicono la loro: 987 è il sedicesimo valore della serie. Altri, quando si buttano sul versante del math metal fanno roba cervellotica e poco ascoltabile, qui invece, almeno secondo me, tutto il contrario. Ride the spiral to the end. [LC]
#4
Va bene, se vogliamo farlo strano andiamo dal principe delle tenebre della stramberia, Frank Zappa, con la sua Black Page #2, con quella selva di gruppi irregolari annidati gli uni dentro gli altri che rendono il pezzo storto che più storto non si può, anche se alla fine, forse, è scritto in 4 quarti. E quindi? la stortura a volte sta nel sistema di riferimento, altre nella capacità di rompere radicalmente gli schemi restando comunque su una strada canonica. Però siamo un po’ sul circuito esclusivo dei virtuosoni – Zappa terrorizzava tutti alle audizioni, chiedeva roba impossibile, la faceva suonare in modi iperesotici, insomma ti faceva sudare sette camicie. No pain, no gain. Io faccio pedali in ottavi (storti, perché poi mi annoio) con fill di pentatoniche, e meglio che stia. [LC]
#5
Spero di non aver già citato questo pezzo dal primo disco di Polly Jane Harvey. L’intero album è costruito sui 5 quarti (Lorenzo, come si dice?) e la cosa contribuisce a rendere circolare quasi ogni pezzo, perché la quinta battuta ti sbilancia in avanti, al giro successivo. La song mi ha folgorato: ero a cena da amici, l’anno di uscita del disco, e la musica era un sottofondo alle chiacchiere. Il mio orecchio, dotato di volontà propria (e piccola coscienza propria, almeno così sostiene il Buddismo) è stato prima attratto, poi posseduto dalla musica che arrivava dall’altra stanza. Chi è? Che cavolo di meraviglioso canzone è questa, tutta bella storta? Inutile dire che il giorno dopo ho comprato il cd. Tutto bellissimo, ma questa resta la mia preferita. Purtroppo il batterista ha fatto poco dopo una brutta fine, e la base ritmica è cambiata, per sempre. [AS]
#6
Come sempre Demetrio e gli Area, coadiuvati da Frankenstein/Gianni Sassi, cuciono brani che ai tempi storti della ritmica uniscono i tempi storti della società. La canzone dedicata al settembre nero del 1970 in Giordania, è una delle più famose e riuscite. Ancora oggi esalta e fa incazzare come deve. [FP]
#7
Non per abbassare il tiro, anzi, ma Elio e le Storie Tese sono uno dei pochi gruppi che potrebbero reggere il confronto con gli Area in tema di tempi storti. E infatti hanno fatto questa canzone «in stile Area» che a loro dire «è venuta benino». Ma «se l’avessero scritta proprio gli Area, sarebbe un casino. Questa la puoi cantare senza essere Stratos. Questa la puoi suonare senza essere Tofani, Fariselli, Tavolazzi, Capiozzo… senza essere gli Area». [FP]
LATO B: TRASLATI
#8
Vado con Clara Rockmore, che qui performa Pastorale di Anis Fuliehan. Il theremin nega l’esistenza materiale dello strumento. Il suo suono è fantasmico quanto le sue corde, distorto e aberrante quanto la percezione del tempo. [AA]
#9
Non credo esista un’immagine più concreta dei tempi storti di quella offertaci da questa esecuzione live del 1972. “The Mike Douglas Show” era una trasmissione statunitense andata in onda per un ventennio dal 1961. A un certo punto, nel 1973, appunto, compare sul palco John Lennon che introduce con una certa enfasi Chuck Berry. I due attaccano un pezzo. Fino a qui tutto bene. Non fosse che, tra i musicisti, c’è Yoko Ono che percuote un tamburo. Lascia che i due si esibiscano per quasi un intero minuto senza disturbare più di tanto, poi afferra il microfono e inizia a fare dei versi completamente immotivati. Lennon e Berry non se l’aspettano: ce lo dicono con chiarezza i volti stupiti e il gesto di Lennon a Yoko Ono alla fine dell’esecuzione del primo brano. Dopo un chiarimento dietro le quinte, Yoko Ono è più composta: quando attaccano Johnny B. Goode, il tamburo è ancora nelle mani di Ono, ma il microfono e saldamente ancorato al suo posto. La tentazione però è troppo forte e la musicista afferra nuovamente il microfono e ci regala una nuova sessione di tempi storti, fino a quando un eroico tecnico del suono non le spegne il microfono. Yoko Ono continua a strillare, ma gli sguardi di John Lennon e Chuck Berry sono meno imbarazzati. [PI]
#10
Siccome da un po’ non metto Guccini, mi chiedo: ma i tempi storti sono anche quelli durante i quali Noi non ci saremo? [PI]
#11
Però, se parli di distopia e di storture che avvolgono il futuro, devi per forza concentrarti sul passato. Magari ti chiami Pink e, mattone su mattone, ti stai staccando dal mondo. Tuo padre è morto in guerra, gli insegnanti ti hanno inculcato oppressione, il tuo matrimonio è stato un fallimento, tua madre ti ha distrutto. Sei schiacciato dalla depressione e il medico sa bene come rimetterti in sesto. Ti fa quella puntura. [PI]
#12
E non possiamo dimenticarci il dittico composto dalla karmapolizia e dalle regole per essere felici di Thom. [PI]
#13
Se c’è una cosa di nicchia che ho sempre adorato, è la voce delle donne bulgare. Sono voci di donne dei villaggi, non cantanti professioniste: la caratteristica è il timbro limpido e le armonizzazioni che sfiorano, senza mai caderci dentro, la dissonanza. Poi il ritmo, parliamone. Come tutta la musica balcanica, o para balcanica, è spesso indecifrabile. Quando sono stata in Bulgaria ho comprato tutti e 4 i cd della raccolta curata dall’etnomusicologo Marcel Cellier. Metto un pezzo a caso: è tutto bello bellissimo. Questa enclave musicale è affascinante. [AS]
#14
Il tempo di Alifib forse non é per nulla storto, con quel respiro ritmico che accompagna il pezzo dall’inizio alla fine. Ma tutto il resto certamente sì, a cominciare dalla spina dorsale di Robert Wyatt, divenuto da poco paraplegico dopo una rovinosa caduta sotto acido da un balcone, per arrivare ai suoni dell’intero splendido disco in cui è contenuta, il seminale Rock Bottom, fino alla voce del cantante, ormai ex batterista forzato. [FP]
#15
Trout Mask Replica é uno di quei dischi che ho comprato quasi per forza, “perché bisogna averlo” , e che avrò ascoltato se va bene tre volte. Amo Captain Beefheart e la sua Magic Band, e Safe As Milk è un disco che mi sconvolge. Ma l’album con l’uomo trota in copertina, dove il capitano si è messo in combutta con l’amiconemico Zappa, mi è un po’ indigesto. I tempi però son storti, stortissimi. I tempi e tutto il resto. Questo è uno dei pezzi che preferisco. [FP]